Hanno fatto “esplodere” il fenomeno streaming video nel corso della pandemia. Ma sono destinati a rimanere in sella anche con la riapertura. Sono Netflix, Amazon, Hulu e Disney+ i “magnifici quattro” dello streaming video che faranno ancora a lungo la parte del leone.
Emerge dallo studio Streaming Viewers Aren’t Going Anywhere condotto da Boston Consulting Group, secondo cui il 55% degli utenti ha aumentato il tempo di fruizione durante la pandemia. Ma soprattutto il 72% manterrà le abitudini acquisite. Insomma, “gli spettatori ci sono e non se ne andranno – si legge nel report -: un’ottima notizia per l’industria dello streaming. Anche se, guardando ai dettagli, si vede che il quadro è più complicato”.
Chi sono i campioni dello streaming video
A dominare il settore ci sono le Big Four dello streaming su abbonamento (Subscription Video On-Demand). Netflix conquista il primo posto con il 70% degli utenti, seguita da Amazon Prime Video (59%), Hulu – non visibile in Italia – (41%) e Disney Plus (36%). Tutto il resto è una coda lunga di servizi non-core, tra i quali si distingue Hbo Max che dal momento del suo lancio (maggio 2020) ha raggiunto una penetrazione del 20%, superando Apple Tv (ferma all’11%), mentre faticano Youtube Premium (6%), Discovery + (5%) e Starzplay (3%).
In crescita lo streaming con pubblicità
In crescita negli Usa sono invece le piattaforme di streaming gratuite basate sull’advertising (Advertising Video On-Demand), come Pluto TV (13%), Tubi (12%) The Roku Channel (11%), Crackle (8%) e Peacock, in versione free (8%). L’aumento è stellare: negli ultimi mesi hanno guadagnato il 300% di nuovi utenti, mentre secondo le rilevazioni quasi ogni utente (0,7 rispetto allo 0,2 della scorsa ricerca) usufruisce di almeno uno di questi.
Non tutti però allo stesso modo: a dedicarsi alle piattaforme Avod sono sopratutto utenti esperti – il consumo in modalità Avod aumenta significativamente tra chi utilizza già quattro servizi (o più) in streaming. Il fenomeno sembra suggerire che gli spettatori “forti” in cerca di novità tendono a voler provare i servizi gratuiti anziché investire nelle piattaforme a pagamento minori.
Il rischio per le piattaforme minori
Si tratta, per queste ultime, di una “cattiva notizia”. Su questo segmento soffrono la concorrenza delle Avod e rischiano, a lungo andare, di essere estromesse dal mercato. Tra queste è molto basso l’indice di fedeltà ad Apple Tv: molti degli utenti meditano di interrompere l’abbonamento (21%) o di utilizzarlo in maniera temporanea e mirata, cioè per la durata di un particolare show che desta interesse (10%).
Lo stesso fenomeno riguarda, in misura varia, anche gli altri servizi di streaming non-core, ma soprattutto i canali di sport, che costituiscono un’altra vittima dell’ascesa dei servizi di streaming gratuiti. In media il 7% pensa di chiudere l’abbonamento, mentre il 15% occasionalmente. Del resto la penetrazione generale è molto bassa. Tra gli intervistati, solo il 7% segue Espn+, che è quello che totalizza il numero più alto, mentre sono trascurabili o prossimi allo zero le percentuali di canali come WWE Network (3%). Tra le Big Four l’unica piattaforma meno solida sotto questo aspetto è Amazon Prime Video, (5% pensa di lasciare, l’8% di utilizzarla in via occasionale).
“In un’epoca di mobilità accresciuta da parte degli utenti, legata alla grande varietà di offerta e facilità di cambiarla, per le piattaforme diventa essenziale riuscire a trattenere spettatori – dice Bart Banche, Managing Director e Partner di Bcg -. Per questo motivo, e al fine di distinguersi nell’affollato spazio competitivo, occorre puntare su dei contenuti sempre rilevanti e fornire un’esperienza utente all’avanguardia”.
Quanto conta il passaparola
Secondo lo studio, poi, le preferenze degli utenti riguardo ai programmi da vedere sono, al 74%, influenzate dal parere degli amici e dei conoscenti. Una voce che per il 43% merita addirittura il primo posto.
Seguono le funzioni dei provider come il “guarda ora” che appare al termine della visione, indicate per il 68% (ed è la prima per il 23% delle risposte). La pubblicità classica arriva al 51% (prima solo per il 16%) mentre è scarso l’impatto di siti specializzati come Rotten Tomatoes, fermi al 42% e primi soltanto per il 9%, e scarsissimo quello dei quotidiani, come il New York Times, punto di riferimento soltanto per il 22% e primi per il 5%. Sono dati che suggeriscono come, in un contesto di grande concorrenza e sovrapposizione, “la strategia di marketing per emergere – si legge nel report – deve risultare ben calibrata, individuando gli spazi giusti e distinguendosi per la propria offerta”.
Il ritorno delle piattaforme Avod indica che questa è la strada giusta: non combattendo nel campo della produzione di nuovi contenuti, preferiscono offrire vaste librerie digitali, cui possono aggiungere servizi a pagamento limitati in cambio di una visione senza pubblicità. “Il successo delle piattaforme Avod – conclude Banche – indica che, dopo qualche scettiscismo iniziale, il modello pubblicitario è tornato. Questo ritorno potrebbe anche essere un’opportunità per le aziende Svod minori, quelle che soffrono di più e che per sopravvivere potrebbero fare evolvere la loro offerta e diversificare la modalità di fruizione”.
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