LA POLEMICA

Netflix non parteciperà a Cannes: guanto di sfida al modello “cinematografico”

La piattaforma di streaming online annuncia che diserterà il Festival. Rifiutate le condizioni imposte dalle norme francesi che chiedono il passaggio nelle sale per competere in concorso. Il responsabile dei contenuti Ted Sarandos: “Così non si aiuta il cinema: la Francia sta bloccando l’innovazione”

Pubblicato il 12 Apr 2018

Festival-di-Cannes

Niente Cannes per Netflix. L’annuncio, fatto da Ted Sarandos responsabile contenuti della piattaforma di streaming a Variety, suona come una dichiarazione di guerra all’indomani delle polemiche che hanno visto fronteggiarsi il Festival di cinema francese e l’azienda americana. Secondo Sarandos il festival – si tiene dall’8 al 19 maggio, i film in concorso saranno presentati oggi – ha inviato un messaggio chiaro annunciando la nuova regola francese (vieta a qualunque film senza distribuzione nelle sale di partecipare alla competizione). Netflix in teoria avrebbe potuto partecipare fuori concorso “ma non ha senso per il nostro servizio di streaming – dice Sarandos -. Vogliamo che i nostri film vengano trattati come gli altri”.

Si tratta di una contrapposizione fra due diversi modi di fare entertainment. Con il “gran rifiuto” Netflix scommette anche a lungo termine su un modello di business che prevede la cancellazione delle sale cinematografiche. In opposizione a un modello economico che della sala cinematografica fa il proprio perno. Due concezioni con impatti molto diversi sul mercato.

E’ dunque l’esito finale di polemiche nate già lo scorso anno quando a Cannes furono ospitati i film “Okja” e “The Meyerovitz Stories” che furono distribuiti online lo stesso giorno della proiezione. Quest’anno il direttore del Festival Thierry Fremaux ha rilanciato annunciando di voler escludere dalla competizione ufficiale i film del servizio streaming forte di una nuova regola nazionale in base alla quale dalle competizioni vengono esclusi film destinati unicamente alla distribuzione online: servono 3 anni di finestra temporale, dalla distribuzione nelle sale, per il passaggio in streaming.

“Non è una coincidenza neanche che Thierry abbia bandito anche i selfie sul red carpet quest’anno”, dice Sarandos: “Non so a quali altre innovazioni Thierry voglia opporsi”. Secondo Sarandos il cambiamento delle regole di qualificazione è completamente contrario allo spirito di qualsiasi festival cinematografico del mondo”. I festival cinematografici “aiutano i film a essere scoperti in modo che possano ottenere una distribuzione. In base alle nuove regole avremmo dovuto bloccare i nostri film per 3 anni, anche per gli abbonati francesi”.

Ma Sarandos ha fiducia che Cannes cambi idea, in futuro: “Con Thierry condividiamo l’amore per il cinema: si renderà conto di quanto questa regola sia punitiva per i cineasti e per i cinefili”. Il direttore di Cannes aveva detto che “la storia di Internet e la storia di Cannes sono due cose diverse. Certo che sono due cose diverse – dice Sarandos -. Ma qui stiamo parlando del futuro: Cannes sta scegliendo di tenere bloccata la storia del cinema”.

La Palma d’oro viene considerata seconda solo all’Oscar per le ricadute sull’attrattività del prodotto e del brand: l’eventuale etichetta di film “non idonei” ai festival rischia di danneggiare il coinvolgimento di registi di alto profilo nel servizio di streaming nonostante i forti investimenti nella produzione.

E Netflix ha bisogno di prestigio, almeno per compensare la differenza di modello di business rispetto alle major. Nei propri accordi di produzione di contenuti originali la piattaforma chiede infatti ai registi una scommessa più alta: a differenza dei “tradizionali” contratti che prevedono per registi e star un compenso base anticipato e un secondo pagamento, più congruo rispetto al primo, in base al successo ottenuto al botteghino, non potendo contare su profitti generati dall’uscita nelle sale, i contratti Netflix contemplano un unico compenso. Inoltre la piattaforma non ha dalla sua incassi prodotti da vendite a TV.

Dunque per la piattaforma il coinvolgimento delle “grandi firme” si basa unicamente su budget superiori a quelli offerti dagli “studios”.  Ma i soldi non sono sufficienti a spingere il business: serve la benedizione delle giurie di Cannes o degli Oscar per acquisire un “bollino di qualità” utile all’acquisizione di nuovi abbonati, soprattutto sul mercato internazionale.

Oltretutto si fa sentire la pressione esercitata dalla rivale Amazon Video che a sua volta punta a definirsi come la più prestigiosa società di streaming. La piattaforma di Jeff Bezos ha già incassato un Oscar. E non fanno gioco a Sarandos neanche dichiarazioni come quella di Steven Spielberg secondo cui “film che fanno solo presenza simbolica nelle sale non possono qualificarsi per le nomination agli Academy Award”.

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