Tutti contro Google. A scagliarsi oggi contro il re dei motori di ricerca sono stati due top manager di due grandi gruppi: Robert Thomson, amministratore delegato di News Corp, società di Rupert Murdoch, ha scritto al commissario Ue per la Concorrenza, Joaquin Almunia, sostenendo che “soffoca la concorrenza nelle ricerche online” e Tim Cook, Ceo di Apple, l’ha accusata, insieme a Facebook, di considerare gli utenti “come prodotti”, usando le loro informazioni personali per il marketing.
“Google è una piattaforma per la pirateria. Soffoca la concorrenza nelle ricerche online” ha scritto Thomson nella lettera a Almunia inviata circa 10 giorni fa e resa pubblica ieri. Il documento entra a far parte del dossier della Commissione UE nell’indagine aperta sul colosso di Mountain View per sospetto abuso di posizione dominante nel campo delle ricerche su Internet.
“Google allontana sistematicamente gli utenti dai siti più rilevanti per dirottarli su quelli che le sono legati per ragioni commerciali”, denuncia la missiva, di cui alcuni stralci sono stati pubblicati dal Wall Street Journal.
Google affida la risposta a un suo portavoce, che cita un recente post sul blog aziendale del presidente Eric Schmidt, che negava il fatto che Google potesse distorcere a proprio vantaggio la competizione favorendo i propri servizi nei risultati delle ricerche.
“Fino a oggi nessun regolatore ha mai obiettato alle modalità con cui Google fornisce risposte dirette alle persone, per la semplice ragione che il servizio è il migliore possibile per gli utenti”, scriveva Schmidt, mentre l’azienda aveva più volte sottolineato come Google avesse apportato cambiamenti significativi proprio per rispondere alle preoccupazioni della Commissione Ue, “incrementando molto la visibilità dei servizi concorrenti e dando risposte puntuali su altri specifici rilievi”.
A testimonianza di quanto il confronto con Google si stia inasprendo c’è la richiesta avanzata nei giorni scorsi a BigG da Heiko Hess, il ministro della Giustizia tedesco, che aveva chiesto al motore di ricerca di rendere pubblico l’algoritmo che usa per selezionare i risultati delle ricerche. E che in caso di risposta negativa da Mountain View si era detto pronto a chiedere all’Ue misure eccezionali e coercitive. Una richiesta a cui Google ha replicato con un argomento “tecnico”: “Rendere i nostri algoritmi disponibili può sembrare semplice – ha detto un portavoce dell’azienda – ma così facendo lasceremmo campo libero a spammer, siti con malware e siti web di bassa qualità, danneggiando così i nostri utenti”.
“Siamo ora in contatto con Google per vedere se sono pronti a offrire soluzioni – aveva detto nei giorni scorsi il portavoce del commissario Almunia – ma non possiamo anticipare quanto tempo prenderanno queste discussioni. Ovviamente dipende se Google è pronta ad affrontare le questioni che abbiamo identificato”.
Sempre oggi è stato Tim Cook a lanciare strali contro Google. Apple non considera l’utente “un prodotto” e non monetizza le informazioni di cui è in possesso: questo il contenuto saliente di una lettera aperta ai consumatori scritta dal Ceo della Mela e pubblicata sul suo sito, in cui descrive in dettaglio la nuova privacy policy della Mela.
Le dichiarazioni di Cook fanno seguito alla polemica scoppiata qualche settimana fa per la diffusione di foto private di star del cinema, sembra rubate dagli hacker agli account iCloud delle suddette star: un passo falso che l’azienda ha provveduto a correggere annunciando ieri il potenziamento delle misure di autenticazione per accedere a questo ed altri account. Allo stesso tempo le parole del Ceo vanno a colpire giganti dell’Internet economy come Google e Facebook, in particolare il loro business model.
“Molti servizi Internet – scrive Cook – sono gratis ma usano i dati personali degli utenti per fare marketing nei confronti dell’utente stesso. In pratica tu sei il prodotto. Così opera Google: i suoi algoritmi sono in grado di scannerizzare le email degli utenti, le loro ricerche sul web ecc. ecc. per poi mostrare all’utente stesso le pubblicità per lui più rilevanti. Facebook ha un modello di business simile”.
A questo punto il numero uno di Apple mette in evidenza la diversità tra queste esperienze e il comportamento della sua azienda. “Noi riteniamo che una customer experience positiva per il cliente non debba avvenire a spese della sua privacy. Il nostro modello di business – sottolinea – è molto semplice e diretto: vendiamo grandi prodotti. Non costruiamo un profilo basato sui contenuti delle email o del search per venderlo ai rivenditori di spazi pubblicitari. Non monetizziamo le informazioni contenute su iPhone o iCloud. E non leggiamo le email delle persone o i loro messaggi per ottenere dati utili al marketing. I nostri software e servizi sono pensati per produrre dispositivi migliori. Tutto qua”.
Il Ceo concede comunque che “esistono sempre i compromessi. Google e Facebook – afferma – fanno grandi prodotti utilizzabili gratuitamente. Non si paga niente per usare Facebook o Google, ma si concede un po’ di se stessi per rendere più facile la propria vita digitale”.
Oltre al caso delle foto rubate, che ha inevitabilmente portato con sé accuse di scarsa tutela della privacy contro Apple, l’azienda è finita di recente nel mirino del procuratore generale del Connecticut, George Jepsen, dopo aver annunciato per il prossimo anno l’Apple Watch, orologio digitale in grado di monitorare una serie di parametri dell’utente mentre, per esempio, sta facendo esercizi di fitness. L’attorney general ha scritto a Cook chiedendo un incontro con i rappresentanti dell’azienda per discutere come le informazioni personali dell’utente saranno raccolte e salvaguardate nel dispositivo.