È una partenza decisamente in salita quella del confronto per il rinnovo del contratto nazionale dei giornalisti. Ad agitare le acque, oltre all’annuncio della prossima disdetta del contratto vigente da parte degli editori, c’è la tempesta provocata in Mondadori dalla decisione di Segrate di chiudere tutte le redazioni romane dei suoi periodici. L’annuncio, arrivato a sorpresa alla fine di ottobre, riguarda Sorrisi&Canzoni Tv, Panorama e Chi, che nella capitale hanno complessivamente dieci giornalisti. Cinque di questi (tutti e tre quelli in forza a Sorrisi più due dei sei di Panorama) dovranno trasferirsi a Milano. Altrettanti (quattro di Panorama più l’unica giornalista di Chi) resteranno invece a Roma, con una formula innovativa, per ora non contemplata dal contratto nazionale, che li vedrà lavorare soprattutto da casa e occasionalmente nella nuova sede allestita da Mondadori in piazza Barberini per le sue altre attività.
La mossa è stata innescata dalla cessione della palazzina liberty di via Sicilia, storica sede romana del gruppo, per cui da un paio d’anni si cercava un compratore. Ma se l’intenzione di vendere era ben nota a tutti, quella di chiudere le redazioni è arrivata come un fulmine e ciel sereno. Ed è stata vissuta come una coltellata alla schiena dai giornalisti, subito saliti sulle barricate per denunciare il tradimento dei patti stabiliti al momento della firma dell’ultimo stato di crisi. Pare infatti che in quell’occasione l’azienda, dopo aver tenacemente resistito alle richieste sindacali di mettere per iscritto l’impegno a non trasferire giornalisti fino alla scadenza degli accordi (giugno 2017) abbia dato ampie assicurazioni verbali di non avere in programma nulla del genere.
Ammesso che sia andata davvero così, sarebbe l’ennesima conferma del proverbio secondo cui “verba volant” e solo ciò che è scritto rimane, visto che il periodo intercorso fra la presunta promessa e il suo tradimento è di quattro mesi scarsi. Il tutto, condito con il sospetto di una distribuzione tutt’altro che neutrale dei provvedimenti più penalizzanti: le due richieste di trasferimento di Panorama riguardano il fiduciario sindacale e l’unica cronista parlamentare della testata.
Dopo un tentativo di trovare un punto di incontro, rapidamente naufragato sulla indisponibilità dell’azienda a congelare anche temporaneamente le misure annunciate, i due schieramenti si guardano in cagnesco. Le diverse articolazioni del sindacato (battagliera soprattutto l’Associazione Stampa Romana) hanno cominciato a fare le pulci in pubblico al gruppo di Segrate, ricordando che negli ultimi anni ha avuto accesso a prepensionamenti, cassa integrazione e contratti di solidarietà (con conseguente abbattimento del costo del lavoro) per parecchi milioni di euro e che anche grazie a questi contributi i suoi conti sono tornati in equilibrio, consentendo un’operazione strategica e costosa come l’acquisto dei libri di Rcs. Nel mirino anche i “ricchi bonus” distribuiti ai manager nello stesso periodo in cui gli stipendi dei giornalisti sono stati ridotti a causa del contratto di solidarietà.
La situazione appare tesa in particolare a Panorama, la testata in questo momento più in difficoltà. Non per niente il direttore Giorgio Mulè, dopo sei anni di direzione in stile marcatamente decisionista, ha sentito per la prima volta il bisogno di chiedere la fiducia della sua redazione, come se la nuova situazione che si è creata richiedesse una legittimazione finora considerata superflua. Il voto dei giornalisti sul suo piano editoriale dovrebbe svolgersi nell’arco di qualche giorno.