Pechino a Clinton: “Discorso che mina i rapporti Usa-Cina”

La replica al Segretario di Stato: “Accuse false e non rispettose della cultura del Paese”. Per i media governativi la libertà su Internet è “un’arma dell’egemonia americana”

Pubblicato il 22 Gen 2010

Il discorso sulla libertà in rete di Hillary Clinton non è andato
giù alle autorità cinesi, la cui risposta non si è fatta
attendere ed è stata affidata a una nota del portavoce del
ministero degli esteri Ma Zhaoxu: “Sono accuse che negano la
realtà e danneggiano i rapporti fra i due paesi”.

La Clinton aveva chiesto alla Cina di smetterla con la censura sul
web e di indagare sui responsabili del cyber attacco a Google.
Accuse prive di fondamento secondo il Governo cinese che rivendica
la sua grande apertura al web e il rispetto della libertà
d’espressione. “Internet in Cina è aperto e la Cina è il
Paese più attivo nello sviluppo di Internet, – recita la nota –
alla fine dell' anno scorso i navigatori cinesi hanno raggiunto
la cifra di 384 milioni e ci sono 3,68 milioni di website e 180
milioni di blog; la Cina ha la sua situazione nazionale e le sue
tradizioni culturali e gestisce Internet in accordo con le sue
leggi e con le pratiche internazionali…La Costituzione cinese
garantisce ai cittadini la libertà di opinione”. In conclusione
il Governo cinese addolcisce il messaggio esprimendo la volontà di
proseguire nel dialogo, nonostante le divergenze.

Le accuse più dure al governo Usa giungono però da studiosi
esperti di politica internazionale. Come Wang Yizhou, certamente
non quello che si potrebbe definire un intellettuale indipendente,
dato che lavora alle dirette dipendenze del Partito Comunista
Cinese, secondo cui gli Usa parlano sempre del web libero, ma il
controllo governativo statunitense si infiltra in tutto il Paese ed
estende la sua influenza sui server di tutto il mondo. Secondo Yu
Wanly, dell’università di Pechino, “la cosiddetta libertà di
Internet della Clinton è dominata dagli Usa, perché dei server
che gestiscono il web dieci su tredici si trovano negli Usa”.

Anche i media governativi attaccano la Clinton: il Global Times
sostiene che la libertà di Internet sarebbe solo un’arma
dell’egemonia americana. Poi lancia l’affondo: “è uno
spudorato tentativo di imporre i propri valori ad altre culture nel
nome della democrazia, e la politica cinese vuole evitare di
diventare vittima dell’imperialismo mediatico”. Il China Daily
riporta invece un sondaggio secondo il quale l’81% dei cinesi
sarebbe contrario a Google senza filtri e censure e si opporrebbe
alle richieste di Mountain View.

Di tutt’altro tono invece le dichiarazioni dei blogger cinesi
più scaltri, quelli che sono riusciti ad aggirare la censura e a
postare su Twitter le proprie opinioni. Che sono quasi tutte a
favore della Clinton. C’è chi parla di una dichiarazione di
guerra delle nazioni libere a quelle autarchiche, chi paragona il
discorso della Clinton a quello della cortina di ferro di Churchill
e chi enfatizza la libertà di Internet come cosa positiva per
tutto il genere umano.

Insomma, in attesa della risposta americana, una cosa appare certa:
chi sin dall’inizio pensava che il caso Google-Pechino si sarebbe
trasformato in uno scontro diplomatico fra le due maggiori potenze
mondiali non aveva tutti i torti.

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