La lotta alla pirateria passa dall’obbligo di estensione del protocollo Know Your Business Customer a tutti gli intermediari online, e non solo ai marketplace. Lo chiede a gran voce la lettera inviata a Consiglio e Parlamento europeo 80 tra associazioni ed aziende rappresentanti dell’industria culturale ed audiovisiva italiana ed internazionale, secondo cui l’obbligo di identificazione estesa a servizi di hosting e Cdn, servizi di pagamento, servizi di registrazione del dominio, servizi pubblicitari e servizi proxy sarebbe efficace nella riduzione del fenomeno pirateria.
Cosa prevede il protocollo Kybc
Il protocollo Kybc, si legge sul sito dedicato, “prevede oneri minimi o nulli per le attività legittime, tutte facilmente identificabili”. Ma prevede obblighi nuovi e diretti su alcune categorie di intermediari. Si dovrebbero introdurre sanzioni finanziarie dissuasive in caso di inadempienza.
Servono “responsabilità inclusiva, da parte di tutti i soggetti che a vario titolo operano sul web – si legge nella lettera – ed approcci ed obblighi adeguati, come il Know Your Business Customer, per contrastare in modo diretto ed efficace il fenomeno della pirateria digitale”.
L’impennata della pirateria
La pirateria ha registrato un’impennata in tempi di pandemia: secondo gli ultimi dati rilevati da Ipsos per Fapav si stima che gli atti di pirateria durante il lockdown della scorsa primavera siano stati 243 milioni contro i 69 milioni di un bimestre medio riferito al 2019. Un danno al settore valutabile in 591 milioni di euro, con 5900 posti di lavoro a rischio.
In particolare la missiva inviata a Bruxelles pone l’attenzione sul fatto che nel Digital Services Act lo strumento del Kybc, che attraverso un tracciamento alla fonte di informazioni utili ad indentificare il business del richiedente ed evitando il proliferare di gruppi criminali che lucrano violando la legge, risulta efficace – si legge sul sito dedicato – “per combattere l’anonimato di chi opera illegalmente sul web, e possa essere esteso a tutti gli intermediari, e non solo verso chi opera sui marketplace online come invece proposto nell’articolo 22 dalla Commissione Ue”.
Obbligo disatteso dagli operatori
Richiedere alle realtà commerciali di dichiarare la loro vera identità su Internet ridurrebbe automaticamente i contenuti illegali online e faciliterebbe notevolmente gli sforzi dei consumatori e delle aziende nel richiedere un risarcimento.
Quest’obbligo in realtà esiste già: l’articolo 5 della Direttiva e-commerce stabilisce i requisiti generali di informazione che i fornitori di servizi devono rendere facilmente disponibili, direttamente e permanentemente accessibili ai destinatari dei loro servizi e alle Autorità competenti.
Ma in base alla legge esistente, non ci sono conseguenze per chi non lo fa. Gli operatori di siti-truffa nonché gli operatori di servizi online che diffondono contenuti pedopornografici, gioco d’azzardo illegale, prodotti contraffatti e altri contenuti illeciti prendono di mira liberamente i cittadini europei utilizzando infrastrutture della Ue, con un’impunità garantita dal completo anonimato.
Le mosse dell’industria
Più alta la pressione da parte dell’industria che punta a “innalzare il livello di protezione verso le imprese e i consumatori da rischi connessi alla violazione della privacy, al furto di dati sensibili oltre che al “crash” di infrastrutture informatiche maggiormente esposte dai comportamenti illeciti”.
“Riteniamo – spiega Federico Bagnoli Rossi, Segretario Generale della Fapav – che mantenere aperto il confronto con le Istituzioni Europee sul tema della lotta alla pirateria sia fondamentale soprattutto in questo momento in cui si stanno definendo gli aspetti legati al Digital Services Act. Gli appelli inviati a Parlamento e Consiglio Europeo, che abbiamo firmato assieme a numerosi ed importanti rappresentanti e stakeholder dell’industria culturale ed audiovisiva italiana ed internazionale, rappresentano una voce univoca rispetto ad un approccio concreto ed efficace, di visione e di azione, nel contrasto all’illegalità in rete, con un coinvolgimento attivo nelle attività di contrasto da parte di tutti gli intermediari che operano a vario titolo sul web”.
Il Know Your Business Customer, costituisce uno strumento capace di proteggere con più efficacia “chi opera legalmente – si legge ancora nella lettera – contrastando chi al contrario ha intenzioni illegali, è sempre più decisivo in un momento come quello attuale in cui le attività di tutela assumono un ruolo ancora più strategico al fine di garantire il massimo sostegno al rilancio dell’industria audiovisiva nella fase di ripartenza e riapertura dopo la pandemia”.
Si tratta di tutelare oltre che le industrie culturali anche i cittadini e la loro sicurezza sul web. “La partita – conclude il documento – è ancora aperta, l’auspicio è che si continui a lavorare in modo sinergico e inclusivo permettendo all’intera filiera dei contenuti audiovisivi di proseguire a sviluppare prodotti e servizi frutto di talento, creatività e ingegno, senza dover continuamente combattere contro l’illegalità diffusa”.