L'INTERVENTO/2

Posteraro: “Par condicio, sì. Ma come?”

Il commissario Agcom interviene nel dibattito sull’attualità della legge: “Bisogna chiedersi se e come l’attuale normativa possa essere migliorata alla luce dei mutamenti di scenario determinati dall’evoluzione tecnologica”

Pubblicato il 05 Feb 2013

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È ancora abbastanza diffusa l’opinione secondo cui l’origine della normativa sulla par condicio sarebbe legata quasi esclusivamente alla presenza, nel panorama politico italiano, di un protagonista che è nel contempo un operatore di rilievo nel settore delle comunicazioni. Sebbene l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi abbia sicuramente contribuito a rafforzare la consapevolezza della necessità di disciplinare l’accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali, la ragione di fondo dell’istituto non risiede in un fattore contingente. Essa sta piuttosto nella constatazione dell’influenza esercitata dal mezzo televisivo sulle scelte politiche degli elettori.
Del resto, il processo culminato nel vigente regime della par condicio ha preso le mosse dalla legge n. 515 del 1993, ossia da un testo normativo intervenuto in un momento precedente, sia pure di poco, all’entrata in politica di Berlusconi. E ancora precedenti sono le regolamentazioni adottate dai principali paesi europei, mentre negli Stati Uniti l’introduzione del principio dell’equal time e l’istituzione di un’autorità federale di vigilanza risalgono addirittura a una legge del 1934. E allora il quesito che dobbiamo porci non è “par condicio sì-par condicio no”, ma piuttosto “par condicio come”. Dobbiamo cioè chiederci se e come l’attuale normativa sulla par condicio possa essere adeguata e migliorata, alla luce degli aspetti critici evidenziati dall’esperienza e dei mutamenti di scenario determinati dall’evoluzione della tecnologia.

Una prima criticità è rappresentata dalla presenza di due diversi regolatori, la Commissione di vigilanza e l’Agcom, competenti l’una per la concessionaria del servizio pubblico e l’altra per le emittenti private e per la stampa quotidiana e periodica. Si tratta di una criticità solo potenziale, in quanto le procedure di consultazione previste dalla legge e il senso di responsabilità dei due organi hanno finora evitato discrasie significative fra i rispettivi regolamenti. Rimane tuttavia l’esigenza di costruire il sistema normativo in maniera tale da impedire, anche in astratto, che vi siano differenze tra il regime applicato alla Rai e quello valido per le private. Se oggetto primario della disciplina non è l’attività delle emittenti, pubbliche o private che siano, bensì l’accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali, la soluzione più idonea sembrerebbe quella di attribuire alla Commissione di vigilanza il compito di regolamentare la par condicio con riferimento sia alla Rai, sia alle private, sia alla stampa. L’Autorità dovrebbe essere obbligatoriamente sentita, da parte della Commissione parlamentare, prima della definitiva adozione dei regolamenti attuativi; e dovrebbe ovviamente conservare le funzioni di vigilanza e sanzionatorie già attualmente ad essa spettanti in relazione all’intero plesso normativo.

Il concreto esercizio di queste funzioni da parte di Agcom incontra i maggiori problemi nell’attività volta a verificare il rispetto, da parte delle emittenti, dei criteri fissati dalla legge n. 28/2000 per i programmi di informazione mandati in onda nel corso delle campagne elettorali. Per la comunicazione politica la legge fornisce parametri suscettibili di essere tradotti in termini numerici e consente quindi di ripartire esattamente i relativi spazi fra le forze politiche. Ciò non può avvenire per l’informazione, inevitabilmente legata all’attualità e caratterizzata comunque da un certo grado di libertà editoriale. L’osservanza dei principi sanciti dalla legge – parità di trattamento, obiettività, completezza e imparzialità – deve essere pertanto valutata dall’Agcom sulla base di un apprezzamento di carattere equitativo, che non è possibile ancorare a dati oggettivi. Anche a causa dell’elevata conflittualità del nostro sistema politico, gli esiti di tale apprezzamento raramente sfuggono alla contestazione e alla critica: per cui appare quanto mai necessaria la formazione, da parte dell’Agcom, di una consolidata giurisprudenza, costruita attraverso il rispetto del precedente e fondata sull’uguale trattamento delle fattispecie analoghe.

Questo non significa, peraltro, che il nuovo Consiglio dell’Autorità debba ritenersi vincolato in tutto e per tutto dalle decisioni delle precedenti consiliature, specie quando queste dovessero apparire influenzate, anche inconsapevolmente, da un pregiudizio negativo nei confronti della par condicio, vista come uno strumento tutto sommato illiberale, contrastante con le libertà di manifestazione del pensiero e con quella dell’iniziativa economica privata. Questa valutazione, sebbene smentita dalla Corte costituzionale, è ancora presente in alcuni settori della pubblica opinione e rischia di condurre a una lettura eccessivamente formalistica della normativa, che può alla fine tradursi in una sua sostanziale elusione. Al contrario, la legge deve essere interpretata e applicata – nel rispetto del dato testuale – in modo da assicurare l’effettivo raggiungimento delle finalità da essa perseguite. Un ulteriore fattore critico – anche se esogeno rispetto al contenuto della disciplina – è rappresentato dall’estrema frammentazione del quadro politico. Al tempo dell’entrata in vigore della legge n. 28 il nostro Paese sembrava avviato verso il consolidamento di un sistema bipolare, seppure multipartitico. Adesso la prospettiva sembra mutata, evolvendo nella direzione di un sistema multipolare, oltre che pluripartitico. Senza voler esprimere giudizi al riguardo, è evidente che questo stato di cose contribuisce a rendere ancora più complesse le verifiche di competenza dell’Agcom in materia di programmi di informazione.

Vi è poi il problema dell’evoluzione della tecnologia, che peraltro caratterizza pressoché tutti i settori di attività dell’Agcom: la disciplina, legislativa e regolamentare, arranca cercando di tenere il passo di una realtà che si trasforma con ritmo sempre più accelerato.
La legge 28, in particolare, ancora si riferisce in alcune sue norme alle concessionarie televisive nazionali, senza tenere conto, quindi, dell’avvenuto passaggio al digitale. Al di là dei necessari adeguamenti al mutato assetto del sistema radiotelevisivo, c’è nella disciplina delle campagne elettorali un convitato di pietra: la Rete. C’è chi ha sostenuto che la mancata applicazione della par condicio alle web tv sarebbe un varco lasciato aperto dall’Agcom per carenza di coraggio. Non ho certo bisogno di difendere l’Istituzione della quale faccio parte da un’accusa palesemente infondata sul piano giuridico. Come tutti sanno, il regolatore può e deve muoversi solo nell’alveo delimitato dalla legge. E anche il compito del legislatore si presenta tutt’altro che facile, di fronte a una realtà come la Rete che travalica i confini nazionali e che ha finora resistito pure ai tentativi di regolamentazione – piuttosto blandi, è vero – messi in atto dalla comunità internazionale.
Tuttavia, non si può certo negare che il problema esiste, anche se per il momento rileva soprattutto ai fini del controllo della correttezza dell’informazione, piuttosto che in termini di parità di accesso. Per il momento, inoltre, la tv via etere continua a svolgere un ruolo più importante di quello del web nella formazione delle scelte elettorali. Ma in futuro non sarà più così. Grazie allo sviluppo della banda larga tutti i mezzi di comunicazione a distanza saranno sempre più portati ad avvalersi della stessa piattaforma infrastrutturale, per cui anche la tv ci arriverà prevalentemente attraverso internet.

Allora dovrà mutare radicalmente la filosofia stessa dell’intervento normativo e dovranno mutare gli strumenti messi in mano all’autorità di regolazione. La legge 28, a quel punto, dovrà essere, più che emendata, riscritta. E si dovrà farlo tempestivamente, per evitare di accumulare un ritardo eccessivo nei confronti del progresso tecnologico. All’Agcom spetterà il compito di contribuire esercitando le funzioni di segnalazione e di stimolo che la legge istitutiva e il suo ruolo nel sistema le assegnano.

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