Di nuovo tutti sono al capezzale della Rai, interessati volontari del soccorso, e qualcuno parla ancora di “riforma della Rai”: un dibattito iniziato nel 1969. Peccato però che le condizioni di sfondo sono cambiate totalmente, e se a capo della “governance” ci fosse Nembo Kid, o qualunque altro supereroe, dubito che potrebbe “risanare la Rai” senza un cambiamento radicale di missione.
Negli anni Ottanta la Rai si attrezzò per competere validamente con la sua duopolistica concorrenza (Fininvest-Mediaset) sul piano dell’intrattenimento, mantenendo però anche una significativa parte della sua missione di servizio pubblico (informazione e cultura). La divisione a metà delle sue risorse, fra canone e pubblicità, ben rappresentava questa condizione binaria.
Essa però non sarebbe stata possibile senza condizioni di sfondo molto favorevoli:
– abbondanza di risorse (la nuova leva pubblicitaria)
– solo televisione generalista
– mancanza di competitor forti
– attività delimitata dai confini politici e linguistici nazionali.
Oggi invece: risorse scarse e stagnanti, salvo i pagamenti della pay per view a cui la Rai non accede e che neanche Mediaset riesce a intercettare in quantità significativa. Declino della tv generalista. Un terzo incomodo, Murdoch, primo per fatturato e con economie di scala mondiali e globalizzate.
Risultato: Mediaset è un’azienda in difficoltà. Rai semplicemente non è un’azienda, e fare tornare i conti di tante confuse attività non è possibile. A meno che il governo non metta mano al portafoglio, ipotesi (giustamente) solo teorica.
Quindi nuova mission. La Rai presidi il servizio pubblico, riduca drasticamente il numero di canali, sfoltisca la moltiplicazione lottizzata delle testate giornalistiche e delle sedi regionali, non guardi l’indice d’ascolto come ragione di vita, viva sobriamente del suo canone con un modesto affollamento pubblicitario e qualche pagamento premium degli utenti (si paga anche per entrare ai musei). Faccia buoni format culturali e li venderà all’estero con qualche successo, gli esempi non mancano. Oggi importiamo programmi inglesi sul melodramma italiano, girati in Italia con un direttore d’orchestra italiano. Se avesse venduto a suo tempo le reti di trasmissione, Rai avrebbe fatto molta più cassa che vendendo oggi impianti già obsoleti. Altrimenti… Si buttano soldi per un paio di anni e poi si fa la fine dell’Alitalia.