Beauty contest… Concorso di bellezza. Magiche parole per definire
qualcosa di molto più prosaico: l’assegnazione di cinque nuovi
multiplex in digitale terrestre, più uno per il digitale terrestre
mobile che è in corso di – travagliata – definizione da parte del
ministero dell’Economia con un altrettanto travagliato rapporto
con la Commissione Ue. Con questo concorso di bellezza si
sostanzierebbe il primo “digital dividend”, il primo ricavato
di una digitalizzazione che, razionalizzando lo spettro, consente
un miglior utilizzo della risorsa e dunque il risparmio di preziose
frequenze che possono andare sia al broadcasting radio tv, sia ai
gestori della telefonia mobile ormai ai limiti della saturazione
grazie allo sviluppo dell’Internet mobile (chiavette, smartphone
ecc.). Tutto sembrerebbe andare per il meglio: già nelle mille
tavole rotonde degli infiniti festival dell’elettronica di
consumo, della tv digitale ecc. abbiamo sentito dire, tante volte,
“non c’è solo il digital divide, c’è anche il digital
dividend”. Ciò che è sottinteso, ma non praticato, è l’uso
del dividendo per colmare il preoccupante divario digitale. Ma le
cose non sono così semplici. Il beauty contest è presentato come
un ennesimo favore all’ex duopolio Rai-Mediaset nei confronti di
tutti gli altri: Sky e le emittenti locali i cui ascolti sono in
sofferenza nelle regioni digitalizzate. L’assegnazione di
frequenze è un regalo amaro per una piccola tv che deve
fronteggiare più di 20 canali Rai-Mediaset che pretendono con il
glamour dei loro marchi di essere viste e, nel caso di Mediaset
Premium, anche pagate. Tra l’altro l’uso di tali frequenze
diventa arduo: non ci sono i soldi per riempirle con una
programmazione adeguata e anche la domanda di spazi (da parte di
economia e istituzioni) è in ribasso. Sia per motivi di soldi, sia
per una certa ridondanza di canali e contenuti, determinata dal
digitale.
Invece di scendere nella polemica, preferiamo proporre alcuni
principi. Primo: la parte del dividendo che va al broadcasting deve
allargare il pluralismo, oggi in riduzione. Non per scarsezza di
frequenze, com’era sempre successo, ma per eccesso di
protagonismo dei broadcaster maggiori e per lo sconvolgimento degli
equilibri che facevano sopravvivere la tv (e la radio) locali.
Secondo: il concorso di bellezza deve essere equo, più degli
intrighi che spesso circondano i concorsi di bellezza veri, quelli
degli alberghi nelle località termali, degli impresari, delle
madri delle miss. Senza scomodare l’inconscio, la metafora del
beauty contest non è il massimo della trasparenza. In altre
parole: assoluta professionalità e indipendenza della giuria,
pardon dell’advisor. Terzo e ultimo: condizioni asimmetriche per
incumbent e new entries, che le favoriscano. Nelle Tlc e nella tv
l’Italia è maestra nell’incumbency, cioè nella strategia di
massimizzazione della propria posizione dominante. Cerchiamo di non
proseguire su questa via.
SENTIERI DEL VIDEO. Beauty contest. Ma per quale miss?
Pubblicato il 23 Mag 2011
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