Il tira e molla è durato circa un anno, con voci insistenti che riportavano dell’intenzione e dei preparativi per Spotify in vista dello sbarco sui mercati azionari, ma con una serie di stop and go che ne hanno ritardato la quotazione fino a oggi. Con i primi giorni del 2018 i tempi sembrano ormai maturi, e a questo punto pare molto probabile che la quotazione possa avvenire entro il primo trimestre dell’anno, anche se la conferma ufficiale non è ancora arrivata.
La via scelta sarebbe quella del Dpo, il “direct listing”, come era stato anticipato già ad aprile dal Wall Street Journal, che poi era tornato sull’argomento negli ultimi giorni di dicembre, secondo cui la società svedese sarebbe orientata alla “quotazione diretta”, con le azioni che vengono registrate su una piazza finanziaria, probabilmente quella del New York stock exchange (dove è da poco possibile la quotazione diretta, prima riservata soltanto ai titoli del Nasdaq), e vengono poi lasciate libere di essere scambiate.
Spotify sarebbe così la prima compagnia di grandi dimensioni a scegliere una strada finora utilizzata da aziende più piccole e attive in settori molto circoscritti, come le piccole realtà del biotech. Con il direct listing, tra l’altro, la società potrebbe “risparmiare” i costi e le commissioni di un Ipo tradizionale, e riuscirebbe a evitare la diluizione del capitale tramite l’emissione di nuove azioni. Ma tra le controindicazioni ci sarebbe la possibilità che il titolo possa subire sbalzi consistenti e imprevedibili. Con il Dpo infatti non ci sarebbe il tradizionale “road show” che precede la quotazione, né sarebbero emessi nuovi titoli. La strategia inoltre eviterebbe il coinvolgimento delle banche d’affari, e non prevedrebbe underwriter né lock-up.
Il valore dell’azienda, che soltanto nel 2015 era di 8,5 miliardi di dollari, corrisponde oggi a poco meno di 20 miliardi di dollari, anche in conseguenza dello swap azionario Tencent Holdings, colosso digitale cinese.
Intanto è delle scorse ore la notizia che la società dovrà affrontare una causa per violazione del diritto d’autore intentata da Wixen Music Publishing con una richiesta di risarcimento da 1,6 miliardi di dollari. Ma la vicenda legale, secondo alcune fonti citate dall’agenzia Reuters, non dovrebbe interferire con i programmi di quotazione del gigante della musica in streaming. La causa, stando all’analisi di Luke DeMarte, avvocato specializzato in questioni di copyright non coinvolto nella vicenda, potrebbe risolversi con un accordo che porterebbe a un risarcimento minore rispetto a quello richiesto dai ricorrenti, senza che sia necessario arrivare alla conclusione del processo.
Secondo gli ultimi dati disponibili Spotify conta su 140 milioni di utenti attivi, di cui 60 milioni di abbonati a pagamento, a disposizione dei quali mette più di 30 milioni di brani.