DIRITTO D’AUTORE

Streaming pirata, operazione della Guardia di Finanza: 13 indagati

L’organizzazione utilizzava Telegram come canale di contatto con i potenziali clienti della propria Iptv, proponendo abbonamenti illegali a Pay Tv e piattaforme al prezzo di 10 euro al mese. Sequestrati profitti illeciti per 620mila euro

Pubblicato il 22 Giu 2023

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“Un sistema di condivisione e diffusione non autorizzata di palinsesti televisivi, serie tv e altri contenuti d’intrattenimento a pagamento distribuiti via internet dalle maggiori piattaforme di streaming“. Così il Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza di Roma definisce l’organizzazione finita nel mirino della Procura di Milano.

Una serie di perquisizioni, anche informatiche, sono state effettuate nelle  ultime ore nei confronti dei 13 indagati, residenti in diverse regioni italiane e in Germania, che dovranno rispondere dell’accusa di gestire canali social per la vendita abusiva di abbonamenti a Pay Tv e piattaforme di streaming, quindi contenuti protetti dal diritto d’autore, “diffondendo i flussi Iptv pirata attraverso reti telematiche”.

Sequestrati profitti per oltre 600mila euro

L’operazione della Guardia di Finanza ha portato al sequestro di “60 risorse della piattaforma di messaggistica Telegram”, spiegano le Fiamme gialle, e di un sito web, “utilizzati per l’attività illecita”, oltre che di 620mila euro considerati come profitti dell’attività. La ricostruzione dei flussi finanziari è avvenuta grazie alle indagini svolte sui conti “aperti dagli indagati su piattaforme di servizi di pagamento digitale e di trasferimento di denaro tramite internet e su account detenuti presso exchange gestori di criptovalute”.

Il ruolo della pagina Telegram

L’organizzazione, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, utilizzava un canale telegram, “impero Iptv”, come luogo di incontro virtuale con i potenziali clienti, ai quali concedeva l’ingresso a un bouquet di canali protetti dal diritto d’autore in cambio di un abbonamento pirata da 10 euro al mese, o da 90 euro per un anno. Somme che venivano fatte accreditare, secondo quanto ricostruito dalle indagini, su carte di credito prepagate o piattaforme web di pagamento.

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