MANOVRA

Web tax, nel mirino del Governo anche Netflix e Spotify

Sul tavolo di Palazzo Chigi un’ipotesi per applicare il 3% di imposte alle piattaforme B2C. La Lega punta anche al raddoppio del prelievo: ma il 5S non ci sta

Pubblicato il 17 Dic 2018

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Nuovo round per la web tax italiana. Dopo lo slittamento dell’ipotesi di tassa al 3% prevista dalla Finanziaria dello scorso anno ma mai andata avanti, il governo ci riprova raddoppiando gli obiettivi di incasso. L’ipotesi approdata stavolta sul tavolo di Palazzo Chigi prevede di ricavare 500 milioni di euro agendo non solo su Google & Co, cioè su servizi B2B, ma anche sul B2C: nel mirino in questo modo andrebbero piattaforme come Netflix, Spotify e Amazon Prime che vendono contenuti streaming direttamente ai consumatori. I dettagli arriverebbero – scrive Il Messaggero – con un decreto ministeriale da adottare entro i primi mesi del 2019.

Una seconda ipotesi prevede il raddoppio del prelievo: dal 3% previsto dalla “vecchia” web tax, al 6%. La proposta è partita dal leghista Giulio Centemero, ma viene osteggiata dal M5S: il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio, in Commissione di Vigilanza Rai qualche giorno fa ha detto che secondo lui la web tax rischia di distorcere il mercato: non dovrebbe essere fatta.

La proposta di tassa sui servizi B2C forniti dalle aziende digitali come Netflix fa il paio con l’ipotesi avanzata la scorsa settimana dal Parlamento Ue, che punta ad ampliare il campo di applicazione delle direttive sulla tassazione delle imprese digitali nell’Ue, includendo – appunto – anche le piattaforme come Netflix: la risoluzione è stata approvata giovedì scorso nella plenaria a Strasburgo, con 451 voti a favore, 69 contrari e 64 astenuti.

Il Pe vuole che all’elenco dei servizi digitali che possono essere tassati sia aggiunto anche quello della fornitura di contenuti digitali “come video, audio, giochi o testi che utilizzano un’interfaccia digitale”, come ad esempio la piattaforma dell’azienda guidata da Reed Hastings.

Il Parlamento sottolinea che la Dst (digital services tax) è una misura temporanea. E dato che in materia di fiscalità l’aula ha solo un ruolo consultivo, la proposta adottata verrà ora trasmesse al Consiglio a cui spetta decidere all’unanimità.

Nella risoluzione approvata oggi si propone anche di ridurre la soglia minima, a 40 mln di euro (la Commissione Ue aveva proposto 50 milioni), al di sopra della quale i redditi di una società sono soggetti a tassazione.

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