Non basta l’indicazione dei link a contenuti protetti da copyright su un sito a giustificare la violazione del diritto d’autore e le conseguenti sanzioni economiche ai portali che li ospitano. È questa l’essenza di una sentenza emessa dal Tribunale di Frosinone a febbraio che rivoluziona la giurisprudenza in materia di copyright. .
Nel caso di specie, il giudice ha annullato la sanzione da 600mila euro inizialmente comminata ai titolari di alcuni siti per aver ospitato all’interno dei propri portali i link a opere, dai film alla musica, protette dal diritto d’autore. Secondo il Tribunale, riporta Repubblica citando la sentenza, “con l’espressione a fini di lucro deve intendersi un fine di guadagno economicamente apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell’autore del fatto” e di conseguenza “al fine della commissione dell’illecito in esame, deve essere raccolta la prova dello specifico intento del file sharer di trarre dalla comunicazione al pubblico, per il tramite della messa in condivisione in rete di opere protette, un guadagno economicamente apprezzabile e non un mero risparmio di spesa”.
Secondo il giudice questo collegamento tra l’attività di lucro e quella di linkaggio non è evidente. Nel provvedimento emesso dal Tribunale si sottolinea inoltre che “priva di pregio è la giustificazione fornita (dalle Autorità n.d.r) secondo cui l’assenza di finalità lucrative sarebbe irrilevante”.
CorCom ha sentito l’avvocato Fulvio Sarzana, che ha difeso i titolari dei portali durante il processo. “Il giudice ha analizzato le opere legate ai link, la struttura del sito e i banner pubblicitari e ha stabilito un principio rivoluzionario che il linking di per sé non è messa a disposizione di opere protette dal diritto di autore. Il file sharing, ossia la condivisione di file protetti da diritto di autore, viola il copyright se la messa a disposizione è fatta a scopo di lucro e questo lucro è collegato alla singola opera”. Ci possiamo cioè scambiare dei file protetti da copyright tramite il suggerimento di link fino a quando non lo facciamo per guadagnarci in modo diretto. E quest’ultimo non sarebbe il caso dei siti “salvati” dal Tribunale di Frosinone.
“Il giudice ha valutato che l’attività di carattere pubblicitaria del sito non è ricollegabile in materia diretta allo scambio di link a file protetti sul sito – aggiunge Sarzana -. Non è sufficiente che il portale produca reddito. Bisogna dimostrare che la messa a disposizione di indirizzi web a opere protette produce un lucro specifico strettamente legato all’opera linkata e ospitata in altre piattaforme”.