Dietrofront di alcuni editori sul progetto Instant Articles di Facebook, l’edicola digitale dove gli utenti possono leggere gli articoli direttamente invece di andare sui siti delle testate. A sfilarsi clamorosamente il New York Times, uno dei primi ad aderire al progetto, ma anche Forbes: il sistema non rende e si racimolano più abbonati dai link tradizionali.
“L’entusiasmo si è raffreddato ovunque, è una specie di voltafaccia rispetto a due anni fa quando gli editori scalpitavano per partecipare”, spiega il sito DigiDay che riporta la notizia. Facebook ha lanciato gli Instant Articles nel 2015 con nove testate pilota: oltre al Nyt c’erano anche il Guardian, National Geographic e Bbc News. Poi ha aperto il progetto a tutti, Italia compresa. Oltre alla visibilità degli articoli – il social network di Mark Zuckerberg è una delle principali fonti di traffico per i siti dei giornali – il sistema consente anche di mantenere i ricavi pubblicitari, in maniera diretta o delegando a Facebook la vendita delle inserzioni.
Ma qualcosa non deve aver funzionato. Il New York Times ha smesso di usare gli Instant Articles dopo aver scoperto che gli utenti erano più propensi a sottoscrivere un abbonamento alla testata se si affidavo ai cari e vecchi link che li rimandavano direttamente al sito. Va considerato che gli abbonati digitali sono orami una grossa fetta di lettori e introiti e vengono tenuti in massima considerazione dal giornale: ammontano a circa tre milioni, di cui oltre 250mila si sono aggiunti durante l’ultima campagna elettorale americana.
E’ ora di “guidare i lettori a tornare sui nostri siti”, ha detto a DigiDay anche il gruppo Condé Nast. Mentre il Washington Post, voce fuori dal coro, continua ad usare il sistema. Qualche avvisaglia Facebook deve averla avuta, tanto che di recente ha attivato per gli Instant Articles dei pulsanti (“call-to-action”) che permettono una comunicazione più diretta tra testata e lettore. E a rimescolare le carte nell’editoria mondiale tramortita da Internet nel frattempo è arrivata la lotta alle ‘fake news’. Per verificare le notizie e promuovere contenuti di qualità in rete, Facebook e pure Google si sono affidate al fact-checking di testate certificate. Segno che i vecchi media hanno ancora delle cartucce da sparare.