Il Congresso degli Stati Uniti torna a mettere sulla griglia i social network per combattere abusi, troll e fake news che possono influenzare lo svolgimento della vita politica e l’esito delle elezioni americane. Oggi i top manager di Facebook e Twitter testimonieranno davanti all’Intelligence Committee del Senato per illustrare gli sforzi compiuti e le strategie future per evitare che le loro piattaforme offrano spazi oper un’indebita ingerenza nella democrazia statunitense. Per Facebook parteciperà la Chief operating officer Sheryl Sandberg, mentre per Twitter sarà presente il Ceo Jack Dorsey.
Ci sarà un assente di peso: Google. Il colosso di Mountain View non ha voluto mandare a Washington nessuno dei top manager e ha proposto invece il capo dell’ufficio legale, Kent Walker. La commissione del Senato ha rispedito l’offerta al mittente: le ingerenze nella politica sono una questione che i parlamentari vogliono discutere con i quadri alti responsabili delle decisioni strategiche.
Sandberg e Dorsey hanno già depositato al Senato i documenti con quanto dichiareranno. La Coo di Facebook dirà che la sua azienda prende sul serio le interferenze sulle elezioni e sottolineerà che Facebook è diventata sempre più attiva e efficace nel rimuovere contenuti “non autentici”, come si legge nel documento visionato da Reuters, e impiega oltre 20.000 persone sulla sicurezza della sua piattaforma. Il numero uno di Twitter negherà che la sua attività sia in alcun modo influenzata dalla politica.
Tra le iniziative più recenti, Facebook a luglio ha attivato il nuovo NewsFeed che permette di visualizzare in una posizione più alta in bacheca gli articoli provenienti da fonti “certificate” dagli utenti. Twitter a sua volta ha rimosso – secondo quanto scritto dal Washington Post – 70 milioni di account falsi tra maggio e giugno – più di 1 milione al giorno e il doppio di quanto fatto nei mesi precedenti. Sempre per contrastare le fake news l’azienda di Dorsey ha acquisito Smyte, società di San Francisco che aiuterà a rilevare e rimuovere troll e account falsi.
La questione dell’influenza dei social sulla politica è emersa in tutta la sua urgenza dopo le elezioni presidenziali del 2016: a pochi mesi dal voto che ha portato alla Casa Bianca Donald Trump Facebook ha ammesso che sulla sua piattaforma erano state acquistate pubblicità di tema politico da soggetti con sede in Russia e si erano diffusi post contenenti fake news volti a creare confusione nell’opinione pubblica. Twitter ha rivelato invece l’azione di troll che propagavano notizie false o tendenziose o agivano tramite commenti violenti, anche qui in molti casi di origine russa.
Il Senatore Richard Burr, Repubblicano che presiede l’Intelligence Committee della camera alta, ha detto di aspettarsi dall’udienza con i big di Internet delle soluzioni concrete per mettere un freno all’ingerenza estera sulla politica americana che mira a influenzare l’esito delle elezioni e a destabilizzare il tessuto sociale. L’assenza di un top manager di Google viene letta da Burr come un segno che il colosso di Mountain View sottovaluta l’importanza del problema.
Dorsey di Twitter si dovrà presentare anche davanti all’Energy and Commerce Committee della Casa dei rappresentanti per rispondere alle domande dei deputati Repubblicani che chiedono dettagli sulle strategie che la piattaforma di microblogging adotta in merito ai contenuti postati. Alla questione dell’ingerenza straniera si intrecciano le recenti polemiche del presidente Trump e dei Repubblicani più conservatori, secondo cui i social darebbero preminenza ai contenuti dell’opposizione: il presidente stesso ha accusato Google di “truccare” i risultati di ricerca e ha polemizzato con Twitter perché darebbe meno visibilità ai Repubblicani.
Al di là degli schieramenti politici e delle polemiche dell’ultima ora, il Congresso Usa è preoccupato dall’ingerenza dei paesi stranieri nella vita democratica americana e negli scorsi due anni ha convocato più volte Facebook, Twitter e Google (nel mirino soprattutto per la piattaforma video YouTube) a deporre sull’azione di troll, account falsi, post con notizie fuorivianti e pubblicicità politiche. Sia al Senato che alla Casa dei rappesentanti sono state introdotte proposte di legge che obbligherebbero le aziende di Internet a rendere pubblici i nomi degli sponsor delle ads politiche che appaiono sui loro siti, l’entità dell’investimento pubblicitario e il target di pubblico cui mirano. Le bozze di legge sono per ora rimaste tali: le lobby di Google & co. premono per evitare una vigilanza severa sulle ads simile a quella cui sono sottoposti i media tradizionali.