LA CAMPAGNA

Franceschini: “Più digitale per promuovere il patrimonio”

Il ministro dei Beni Culturali: “Investimenti in nuove tecnologie volàno per far crescere l’industria della cultura”. Via alla campagna social #follianellarte

Pubblicato il 06 Nov 2017

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È partita con grande seguito la nuova campagna social del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il mese di novembre: questa volta si celebra la #follianellarte e l’invito rivolto ai visitatori è, come sempre, quello di andare a caccia delle opere su genio, arte e follia nelle collezioni degli oltre 420 musei statali, parchi archeologici e luoghi della cultura italiani. Oltre a coinvolgere i visitatori in un vero e proprio reportage fotografico collettivo delle collezioni artistiche, le campagne mensili del MiBact superano il confine del virtuale e danno vita a iniziative ”offline” nei musei stessi: è accaduto al Palazzo Reale di Napoli dove, per tutto il mese di novembre, il dipinto “Niccolò De’ Lapi”, scelto dal museo partenopeo come opera simbolo della propria collezione per la campagna del mese, è uscito dai depositi dov’era custodito per essere temporaneamente esposto nella sala Diplomatica (Sala II). ”È soltanto un esempio di quanto sia importante investire sul digitale – dichiara il ministro Dario Franceschini – e di quanto coniugare il patrimonio culturale italiano con l’era digitale sia un’opportunità straordinaria, un volano per far crescere l’industria della cultura e per promuovere l’eccellenza made in Italy a livello globale”.

Il dipinto racconta una vera storia di #follianellarte. Il quadro evoca infatti un episodio romanzesco del 1841 che, ambientato nella Firenze medicea, narra della guerra tra le fazioni dei ”Palleschi” e dei ”Piagnoni”. Uno dei capi di quest’ultima è Niccolò de’ Lapi, e sua figlia Lisa è la disperata ragazza ritratta nel dipinto. La giovane, promessa in sposa al coetaneo Lamberto, sceglie piuttosto di sposare Troilo Ardinghelli. Egli, però, la inganna: seguace dei Medici, finge di disertarli e si insinua nella famiglia Lapi per spiarne le mosse. L’inganno porterà alla cattura dell’intera famiglia e alla decapitazione di Niccolò.

Ecco perché la giovane Lisa è fuori di senno. Innamorata di un uomo che l’ha tradita, fugge nei boschi. È soltanto 50 anni dopo che alcuni cacciatori incontrano un’anziana pallida, sfinita, con lunghi capelli bianchi. Un’eremita. È Lisa, che nonostante il tempo trascorso e i tanti dolori sofferti, sospira nel ricordo di Troilo, fino alla morte. Proveniente dai depositi di Palazzo Reale il dipinto, dal titolo ”Niccolò de’ Lapi” e datato 1866, è menzionato per la prima volta nell’inventario del 1874 ed è firmato da Salvatore Brancaccio, un pittore poco noto di cui incerti sono anche i dati biografici e le notizie sulla sua attività artistica, collegabili perlopiù a un numero esiguo di dipinti di committenza religiosa certosina a partire dalla realizzazione di due opere per il Coro dei Conversi della chiesa di San Bartolomeo della Certosa di Trisulti, a Frosinone, databili tra il 1848 e il 1858. Un documento del 31 aprile 1858 tratto dal Libro dell’Esito, conservato nella Certosa di Padula, relativo agli anni 1851-1858, attesta invece il pagamento al pittore per quadri a decorazione nella zona absidale della chiesa.

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