MERCATO

Google “a gonfie vele”, la profezia degli analisti: sarà la prima trillion dollar company

Alphabet raddoppierà il fatturato a 200 miliardi di dollari in dieci anni e batterà Amazon e Apple sul traguardo record in Borsa. Merito del core business della search advertising, che fa girare tutte le sue divisioni. Ma con la pesante incognita della regulation

Pubblicato il 30 Mag 2018

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Un colosso che fattura 100 miliardi di dollari l’anno potrebbe prima o poi mettere i remi in barca? Non se si parla di Google – o meglio Alphabet, la capogruppo che a Google deve il 99,55% delle revenues. Secondo gli esperti sentiti dal Financial Times, sul mercato della ricerca Internet e della pubblicità il gigante di Mountain View può ancora moltiplicare i suoi affari. Alphabet è in crescita da tre anni consecutivi e gli analisti si aspettano per il 2018 il tasso di crescita più significativo dal 2011, con revenues quasi quattro volte superiori a quelle registrate sette anni fa. Si prevedono anche 26 miliardi di dollari generati da quei “nuovi business” che dimostrano la capacità di Google di nutrire la sua macchina da soldi, portandosi a un fatturato di 200 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Tutto questo si tradurrà probabilmente in un boom del valore delle azioni: già entro tre anni, Google potrebbe raggiungere una capitalizzazione di mercato da 1.00o miliardi di dollari, quel trillion che nessun gruppo quotato ha mai raggiunto e per il quale sono in lizza altre due aziende che oggi valgono di più di Alphabet: Apple e Amazon.

Per gli osservatori la forza di Google risiede in una moltitudine di attività che funzionano e che ruotano intorno al core business della pubblicità e della search. Per esempio, nel caso del sistema operativo Android che domina negli smartphone su scala mondiale, Google fa leva sulla crescente propensione degli utenti a effettuare le ricerche da mobile; i “paid clicks” di Google sono in aumento del 59% nei primi tre mesi del 2018.

Quanto alla piattaforma video YouTube, che fattura 20 miliardi di  dollari l’anno, potrebbe crescere del 20-30% nei prossimi cinque anni, secondo Mark Mahaney di RBC Capital Markets. Siccome oggi le revenues di YouTube rappresentano solo il 10% di quanto viene speso globalmente sulla tradizionale pubblicità in Tv, c’è ampio margine per catturare quote più consistenti, osserva Youssef Squali, analista di SunTrust Robinson Humphrey. “YouTube è ancora agli inizi rispetto alla Tv, il suo business può crescere enormemente, visto che il pubblico si sta già spostando verso l’online”.

Sul cloud computing Google è entrata in ritardo rispetto ai concorrenti e le revenues annuali di circa 4 miliardi di dollari impallidiscono rispetto alle cifre generate da Amazon (che fattura più di 5 miliardi in un trimestre) e Microsoft. Ma secondo Dan Chung, chief investment officer di Alger, qui Big G può davvero fare un balzo tirando in ballo tutto il peso delle sue tecnologie di intelligenza artificiale. Unire cloud e AI sarebbe un vero “attacco al mercato”: “Google potrebbe disporre delle migliori funzionalità AI/machine learning sul cloud”, afferma Chung.

Ci sono poi i nuovi business, tra cui quello dello spin-off della guida autonoma Waymo: non è ancora chiaro come produrrà le sue revenues ma per gli analisti ha il vantaggio del “first mover”. L’azienda nata da Google ha già miliardi di ore di guida in modalità driverless effettuate sia in ambienti simulati che su strade pubbliche e una leadership tecnologica che la mette nella posizione di vendere il suo software alle case automobilistiche. Elemento ancora più rilevante, sottolinea Kevin Walkush, portfolio manager di Jensen Investment Management, è che Waymo potrebbe guadagnare sfruttando il business che Google conosce meglio: la ricerca su Internet. “Tutto torna qui con Google: search advertising”, nota Walkush. “Dopotutto se le persone se ne staranno sedute in una macchina in cui non devono guidare, che cosa faranno? Navigheranno online”.

Per Alphabet, però, la strada verso il fatturato-boom e il trilione di dollari di capitalizzazione di Borsa non è priva di ostacoli. Il primo è legato al malcontendo di alcuni investitori per le ingenti spese che il gruppo sostiene e di cui dovrebbe dare conto con maggior trasparenza, sottolinea Jim Tierney, chief investment officer di AllianceBernstein’s Concentrated US Growth Fund. “Ci fidiamo di Google nel lungo termine, ma se intanto ci indica anche solo i risultati parziali di quello che ottiene con tutti quegli investimenti saremmo più contenti”, fa sapere Tierney. Il secondo ostacolo potrebbe esercitare un peso decisivo: il predomio di Google non piace ai regolatori e ai politici, né in Europa né in America. Un’azione più decisa da parte di chi definisce e fa valere le norme potrebbe rallentare la corsa di Alphabet.

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