IL CASO

Non solo Whatsapp, ora Pechino multa anche i big locali: WeChat nel mirino

Il governo blocca definitivamente la app di Facebook, impedendo l’invio di messaggi di testo. Sanzionata la rivale cinese accusata di non aver bloccato contenuti pericolosi. La stretta in vista del 19° congresso del Partito comunista

Pubblicato il 26 Set 2017

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Stretta di Pechino sui social e le app di messaggistica. Nel mirino del governo, stavolta, non solo le app sreniare ma anche quelle cinese. Di fatto WhatsApp è completamente bloccata: da luglio mesi l’app di messaggistica ha subito rallentamenti e disservizi, soprattutto per quanto riguardava la condivisione di fotografie e video. Adesso è stato impedito anche l’invio dei semplici messaggi di testo. WhatsApp utilizza particolari protocolli per lo scambio dei dati ed è quindi probabile che in Cina sia stato aggiornato il sistema (firewall) che in generale identifica e blocca parte del traffico online, per impedire l’accesso a social network, motori di ricerca e ai siti di opposizione e degli attivisti che diffondono notizie contro il governo. La app scambia i dati con forme molto sofisticate di crittografia, cui i governi non possono accedere.

Secondo gli esperti la mossa risente dell’avvicinarsi del 19/o congresso del Partito comunista cinese che prenderà il via il 18 ottobre. Si tratta di un appuntamento delicato che ridefinirà i vertici con l’ingresso ai piani alti della cosiddetta “sesta generazione” e la definitiva investitura del presidente Xi Jinping come l’uomo più potente in Cina dai tempi di Mao Zedong.

Ma non sono solo i giganti occidentali a subire le pressioni del governo. Pechino ha annunciato pesanti ammende a diversi giganti internet locali, da Baidu a Weibo (il twitter cinese), che sono accusati di essere veicolo per contenuti “osceni” e illeciti sui quali non eserciterebbero il controllo giuridicamente previsto. Tra i destinatari di queste sanzioni anche Wechat, che a dire secondo le autoritù “ha mancato ai suoi doveri” di bloccare la propagazione di “contenuti violenti e terroristici, osceni o pornografici, oltre che voci”. Questi contenuti “mettono in pericolo la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica e l’ordine sociale”, contravvenendo alla legge sulla cybersicurezza.

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