In un’America divisa tra i sostenitori del presidente Donald Trump e chi lo osteggia ferocemente, mentre le linee di partito si spezzano, c’è una grande battaglia che mette tutti d’accordo: la crociata contro i colossi tecnologici della Silicon Valley, finora simbolo dell’innovazione e dell’ineguagliabile capacità americana di creare start-up che conquistano il mondo, ma che Washington comincia a temere come un potere gigantesco che sfugge al controllo delle autorità di governo. E così nella Trumpeconomy del mercato libero da ogni ingerenza pubblica, mentre la Federal Communications Commission si prepara a rivedere e forse abolire le norme sulla net neutrality che hanno equiparato le telco a delle utilily, i giganti della Silicon Valley rischiano di cadere sotto uno scrutinio e forse una regolazione molto più severi.
Esponenti dei partiti Democratico e Repubblicano si trovano insolitamente negli stessi ranghi in questa crociata. A sostenere la necessità di inasprire il controllo sui colossi hitech sono anche la senatrice Democratica Elizabeth Warren e l’ex capo stratega di Trump, Steve Bannon. Bannon non ha dubbi: aziende come Google e Facebook vanno regolate alla stregua delle utility, società che erogano servizi di pubblica utilità e sono quindi passibili di controllo statale. La Warren ha a sua volta sostenuto che gruppi come Google, Apple e Amazon detengono di fatto un monopolio di mercato che dovrebbe spingere a rivedere le norme antitrust. Si arriva poi alle posizioni della destra americana più estrema che vede nei grandi gruppi hitech i paladini di una globalizzazione e di un liberalismo sociale che disapprova, in linea con i Repubblicani ortodossi che chiedono limiti all’immigrazione e più controlli alle frontiere.
Ma i dibattiti suscitati dai colossi della Silicon Valley sono tanti e spesso travalicano le battaglie della mera politica. Ci sono per esempio le tematiche legate alla protezione dei dati personali e alla regolamentazione del loro utilizzo e vendita che sono nuovi anche per il regolatore.
Marsha Blackburn, deputato Repubblicano del Tennessee, ha proposto una legge che ridarebbe alla Federal Communications Commission quei poteri di controllo sulla privacy degli americani che gli stessi Repubblicani hanno sottratto alla Fcc lo scorso anno. La bozza di legge chiede di obbligare sia le telco che le Internet companies (aziende come Comcast, At&t, Verizon, Facebook e Google) a ottenere il consenso informato dei clienti prima di vendere i loro dati agli inserzionisti o ad altre società.
E ancora: una recente indagine sullo sfruttamento della prostituzione ha portato i senatori a chiedersi se le Internet companies debbano essere ritenute responsibili dei contenuti postati dagli utenti. Il Senato ha proposto una modifica legislativa, osteggiata in Silicon Valley, che renderebbe le piattaforme online passibili di conseguenze penali.
Ben Smith, direttore di BuzzFeed, ha scritto sul sito: “E’ ovvio che i colossi hitech sono nel mirino: si trovano nel mezzo di tutti i grandi temi oderni ancora senza soluzione: privacy, sicurezza, automazione che per molti significa perdita di posti di lavoro”.
Quello dei dati è uno dei temi su cui si giocheranno gli equilibri: le Internet companies li possiedono? Il dibattito è tornato d’attualità negli Stati Uniti perché Facebook ha annunciato che consegnerà al Congresso migliaia di ads politiche che sono state acquistate da account con sede in Russia a ridosso delle elezioni presidenziali dello scorso anno. Secondo alcuni osservatori, benché la decisione di Facebook sia spontanea, Washington si prepara a obbligare i colossi della Rete a cedere i dati dei loro utenti alle autorità, se necessario.
Il gruppo New Center Project, che cerca di trovare un compromesso tra le varie posizioni, fa notare che i colossi hitech sono riusciti con successo a portare al pubblico servizi innovativi a prezzi molto bassi o addirittura gratis, ma potrebbero averlo fatto a scapito della concorrenza o della protezione di dati personali ed è su questi terreni che toccherà trovare la soluzione che soddisfa tanto Washingon quanto la Silicon Valley.