Acquisizione di carte nella sede milanese di Facebook e convocazione come testimoni di alcuni dipendenti che si occupano dei contatti con i clienti per la vendita della pubblicità.
Sono questi i nuovi sviluppi dell’inchiesta, ancora a carico di ignoti, dei pm di Milano Adriano Scudieri e Isidoro Palma in cui si contesta alla società fondata da Mark Zuckerberg di aver creato “una stabile organizzazione” con lo scopo di aggirare il fisco in Italia in relazione a introiti pubblicitari pagati da clienti italiani e contabilizzati invece in Irlanda, dove il trattamento fiscale è più favorevole.
Per accertare il meccanismo ipotizzato – uguale a quello ricostruito per Google, il colosso americano che ha già versato 306 milioni all’agenzia delle entrate – nelle scorse settimane la Gdf ha fatto visita alla sede di Milano del social network con un ordine di esibizione e ha convocato, per ascoltarli, alcuni tecnici che lavorano nel settore della raccolta della pubblicità.
Secondo i pm milanesi, i soldi versati dai clienti che pubblicano inserzioni, verrebbero trasferiti ad una filiale irlandese, che a sua volta li riverserebbe ad una società con sede nelle Isole Cayman, che è un paradiso fiscale. All’Agenzia delle Entrate italiana, invece, Facebook verserebbe solo i ricavi relativi alle spese di funzionamento sotto forma di tasse. Tale strategia amministrativa permetterebbe alla società di Zuckerberg un risparmio considerevole in materia fiscale e, se dovesse essere confermata questa articolata manovra, le conseguenze sanzionatorie potrebbero essere pari a diversi milioni di euro. Nei prossimi giorni potrebbero esserci alcune comunicazioni ufficiali, che saranno rese note dal tribunale, il quale con ogni probabilità confermerà le attività di controllo che sono in atto da parte della Guardia di Finanza.
Google per risarcire l’Agenzia delle Entrate dei mancati versamenti ha versato 306 milioni di euro, chiudendo così pendenze tributarie che si trascinavano da anni. La filiale italiana di Apple, invece, a fine 2015 aveva accettato di corrispondere 318 milioni di euro in seguito a un’annosa inchiesta su frode fiscale, sempre basata sul giro di capitali dirottati sull’Irlanda. Menzione inevitabile anche per Amazon, che nello Stivale è accusata di aver evaso 130 milioni di euro di tasse in un periodo compreso fra il 2009 e il 2014.