L’autorità garante della concorrenza australiana (Australian competition and consumer commission, Accc) ha raccomandato una vigilanza più severa su Facebook e Google per l’ampio potere di mercato raggiunto nell’uso dei dati personali, nella pubblicità digitale e nella diffusione delle notizie. Tale vigilanza dovrà essere svolta, si legge nel parere dell’antitrust dell’Australia, da un ente regolatore esistente o da uno di nuova formazione in grado di monitorare più attentamente il ruolo dei big di Internet.
L’Accc ha pubblicato un rapporto preliminare in cui scrive che questo regolatore ad hoc dovrebbe investigare e controllare come le grandi piattaforme digitali posizionano e visualizzano le pubblicità e le informazioni. Il garante della concorrenza ha anche espresso preoccupazione per la mancanza di transparenza nel funzionamento degli algoritmi dei big di Internet.
“L’Accc ritiene che la forte posizione di mercato delle piattaforme digitali come Google e Facebook giustifica un livello più alto di supervisione del regolatore”, afferma in una nota il presidente dell’Accc, Rod Sims. L’attenzione è in particolare all’impatto sulle imprese australiane e sulla “capacità del settore dei media di monetizzare i propri contenuti”. “La flessione dei ricavi pubblicitari ha portato a una riduzione del numero di giornalisti negli ultimi dieci anni. Ciò ha implicazioni su tutta la società“, ha detto il garante. Per Sims Google e Facebook sono diventati “i gateway dominanti tra i gruppi dei media e il pubblico“. Privati dei ricavi, gli editori non possono finanziare il giornalismo investigativo, prezioso nel dare sostegno alle democrazie. I consumatori rischiano di ricevere informazioni filtrate o superficiali se non completamente inaffidabili.
Il nuovo organismo potrebbe supervisionare le attività delle due aziende, e chiedere informazioni sugli algoritmi che decidono in quale ordine gli utenti vedono i contenuti. L’Accc raccomanda anche di vietare a Google di preinstallare il suo motore di ricerca e il browser Chrome sugli smartphone Android, rafforzare le protezioni per il diritto d’autore e modificare la legge sulla privacy (Privacy act) per dare ai consumatori pieno controllo sull’uso dei loro dati personali.
Google ha replicato al report dicendo che i suoi prodotti innovativi sono studiati per beneficire consumatori e imprese e che il suo management lavora a fianco degli inserzionisti e degli editori dell’Australia. Facebook ha garantito l’impegno a cooperare con l’Accc.
Il governo di Canberra attenderà il rapporto finale dell’Accc, atteso per giugno 2019, prima di assumere una decisione su come regolatore i giganti del digitale, ma per Google & co. il giro di vite è già iniziato: la settimana scorsa il Parlamento australiano ha approvato una legge che chiede ai big tecnologici come Google, Apple e Facebook di fornire alle forze dell’ordine l’accesso ai dati criptati degli utenti conservati su smartphone e applicazioni nel caso di operazioni di polizia contro terrorismo e crimine organizzato.
Anche al di fuori dell’Australia i regolatori hanno stretto la vigilanza sui big del digitale. La settimana scorsa, in Italia, l’Antitrust ha sanzionato Facebook con una multa di 10 milioni di euro per violazioni del Codice del Consumo. L’istruttoria era stata avviata ad aprile “per informazioni ingannevoli sulla raccolta e sull’uso dei dati”.
Negli Stati Uniti, il ceo di Google Sundar Pichai è atteso oggi al Congresso per un intervento sulla privacy in cui cercherà di convincere i parlamentari americani che Big G ha a cuore la protezione dei dati personali e che Mountain View riconosce ”l’importante ruolo dei governi nel fissare regole per lo sviluppo e l’uso della tecnologia. A questo fine sosteniamo le norme federali sulla privacy e il contesto normativo proposti nel corso dell’anno’‘, secondo il testo preparato e diffuso prima dell’audizione alla Commissione giustizia della Camera. Intanto, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, Google ha deciso di anticipare la chiusura del social Google Plus ad aprile 2019 dopo il bug scoperto lo scorso marzo ma comunicato pubblicamente solo a ottobre che avrebbe esposto i dati di 52 milioni di utenti e non di mezzo milione come inizialmente annunciato.
In Russia l’autorità di vigilanza del settore telecom Roskomnadzor ha annunciato una multa di 500.000 rubli (circa 6.600 euro) contro Google per non avere ritirato dal suo motore da ricerca dei contenuti vietati, ovvero gli appelli a manifestare dell’oppositore Alexei Navalny, alla vigilia delle elezioni locali e regionali di settembre.