IL DOCUMENTO

Spid: altro che svolta, solo un atto dovuto. Il j’accuse della Camera

Secondo la Commissione di inchiesta sulla PA digitale il progetto non ha determinato il cambio di paradigma auspicato: “Approccio non organico e non prioritario, così si ledono i diritti dei cittadini”. Scarsa capacità di controllo sulla spesa IT

Pubblicato il 03 Nov 2017

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Spid? Più un atto dovuto che un cambio di paradigma. E’ quanto emerge dal documento conclusivo dei lavori della commissione di inchiesta sulla PA digitale, presieduta da Paolo Coppola. Nelle PA, si legge nel testo, “esiste una chiara e diffusa conoscenza dei progetti strategici portati avanti dal Governo, ma anche l’adesione alle infrastrutture immateriali previste dal piano triennale, come Spid o PagoPA, la piattaforma dei pagamenti elettronici per la PA, sembra essere il più delle volte un atto compiuto con la logica dell’adempimento simbolico piuttosto che un deciso cambio di paradigma che porti alla trasformazione completa dei servizi”.

Approccio simbolico che riguarda anche la nomina dei responsabili del digitale, con impatti negativi anche sul rispetto dei diritti dei cittadini. “Le figure apicali responsabili della trasformazione digitale vengono nominate solo dopo insistenti richieste da parte della commissione – spiegano i deputati – I processi di digitalizzazione sono quasi sempre ‘iniziati’ e mai ‘conclusi’, i diritti digitali dei cittadini e delle imprese sono rispettati di rado e solo per alcuni servizi, mancano pianificazione e stanziamenti specifici per completare lo switch off (il passaggio completo alla modalità digitale)”.

Questo succede perché le amministrazioni approcciano il tema del digitale in modo episodico e non organico, non strategico e non prioritario. “La trasformazione digitale è ben lontana dall’essere realizzata, nonostante sia evidente un’accelerazione durante gli anni di questa Legislatura”, avvisa la commissione. “La consapevolezza della centralità e pervasività del digitale e, soprattutto, della necessità di modificare profondamente organizzazione e processi, come peraltro previsto dalla legge da decine di anni – si legge ancora nella relazione – non è assolutamente presente”.

“L’aspetto più evidente emerso durante i dodici mesi di inchiesta della commissione – aggiungono i deputati – è probabilmente la scarsa conoscenza e applicazione della normativa relativa al digitale”, in particolare del Codice dell’amministrazione digitale, “che mina i principi di legalità, buon andamento e responsabilità in quanto vengono costantemente violati i diritti di cittadinanza digitale senza apparente contestazione alcuna”.

Per la commissione “la mancanza di consapevolezza dell’importanza del digitale ha portato la PA, negli anni, a non dotarsi delle competenze tecnologiche, manageriali e di informatica giuridica necessarie. Dalle audizioni emerge più volte che mancano le competenze interne e l’amministrazione sceglie di fare ampio ricorso al mercato. L’analisi dei curricula dei responsabili della transizione alla modalità operativa digitale rende difficile affermare che il comma 1-ter dellarticolo 17 del Cad sia rispettato”, e cioè che il responsabile dellufficio è dotato di adeguate competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali, “in alcuni casi per stessa ammissione dei responsabili durante le audizioni”.

Come invertire la rotta? Dotando l’Agenzia per l’Italia digitale di maggiori risorse, finanziarie e umane. Risulta evidente, per i deputati, che Agid non riesce a svolgere tutte le funzioni che il Cad le assegna: vigilanza e controllo. Inoltre la Commissione ritiene anche opportuno che i pareri rilasciati per gli schemi di contratti e accordi quadro e per le procedure di gara di cui alle lettere siano trasformati in pareri obbligatori e vincolanti al fine di aumentare il controllo sulla spesa. Infine, sempre per rafforzare l’attività di controllo e monitoraggio della trasformazione digitale della PA, la Commissione suggerisce di realizzare una banca dati di obiettivi e indicatori delle performance in modo da supplire alla mancanza di controllo sulla qualità e l’impatto dei progetti di digitalizzazione.

Per la commissione i costi della mancata transizione alla modalità operativa digitale sono stimabili in miliardi di euro e non è pensabile continuare a sostenerli a causa di una visione miope che pretende di operare una tale trasformazione senza avere la risorsa più importante in questo processo capitale umano. “Mai come in questo momento, però, è necessario investire sul capitale umano, una priorità assoluta per i risparmi della PA, non più procrastinabile- spiega il presidente Paolo Coppola– La trasformazione digitale della PA non è solo il modo obbligato per utilizzare meglio il denaro pubblico, ma soprattutto lo strumento più efficace nella lotta alla corruzione e questa lotta ha bisogno di persone competenti”.

Per quanto riguarda il procurement dei sistemi informativi, i deputati ritengono che sarebbe di utilità aggiornare le linee guida, imponendo una disciplina dei bandi che preveda studi di fattibilità e progettazione dei sistemi informativi prima della messa a bando della realizzazione, in modo da specificare meglio gli obiettivi di digitalizzazione e gli indicatori di risultato del progetto. “Si deve uscire dalla logica del massimo ribasso sul costo dei function point e passare ad una logica di prodotto, con opportune metriche di qualità”, avvertono i deputati. La Commissione esprime anche perplessità sulla reale capacità da parte di Consip di stimare correttamente la consistenza delle basi applicative esistenti “perché, non essendo presenti nelle PA le competenze necessarie, spesso il dimensionamento viene fatto direttamente dal fornitore senza un effettivo controllo da parte pubblica”. In questo contesto la mancanza di controllo sull’effettiva consistenza rischia di portare a un sovradimensionamento di bandi di manutenzione e sviluppo dei sistemi esistenti.

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