Da lungo tempo nel mondo dell’Ict e nell’amministrazione pubblica, Lucia Pasetti è vicepresidente del Cisis-Centro interregionale per i sistemi informatici, geografici e statistici. Organo tecnico della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome, è un osservatorio privilegiato per comprendere i cambiamenti in atto nella PA.
Pasetti, di cosa si sta occupando oggi il Cisis?
In primo luogo dell’Agenda digitale europea e della sua declinazione nazionale, che ha ovviamente ricadute a livello regionale. Stiamo assistendo le Regioni nel definire e condividere contribuiti utili ai lavori della cabina di regia. Ci stiamo poi preparando alla costituzione dell’Agenzia per l’Italia digitale, qualora dovesse risolversi la fase di commissariamento. Inoltre, stiamo lavorando sulla programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, fornendo indicazioni su come spendere risorse nei prossimi anni in linea con le esigenze e le competenze regionali. In tutto questo cerchiamo di mettere al centro nuove regole tecniche e strategie attuative dei piani d’innovazione previsti per la Pubblica amministrazione usando un metodo nuovo, più efficace.
Vale a dire?
Oggi le istruttorie tecniche avvengono attraverso il lavoro congiunto di tutti i soggetti interessati alle politiche di innovazione. Fino a poco tempo fa si lavorava per compartimenti stagni: si definivano standard e percorsi senza condividere fin dall’inizio le fasi progettuali con i livelli territoriali. La cooperazione era molto bassa. Oggi le cose stanno cambiando, abbiamo affinato tecniche e modelli di collaborazione. A partire dal 2006, quando realizzammo il progetto Icaro, dimostrammo che in cooperazione si può lavorare bene e ottenere risultati.
Quali temi regionali entreranno nel piano 2014-2020?
Come Cisis abbiamo prodotto due documenti relativi al punto di vista delle Regioni. I contributi sono stati approvati dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome. Il primo, del 6 giugno 2012, era sulla concezione di Nazione-Paese. Poche azioni, per dare attuazione al Cad e alla digitalizzazione della PA. Quest’anno abbiamo aggiornato la posizione in un secondo contributo, approvato il 24 luglio 2013 e inviato ai ministeri competenti. Le iniziative prioritarie individuate sono sei: il riuso delle piattaforme, delle soluzioni tecnologiche e delle esperienze in chiave interregionale; l’interoperabilità e il sistema di cooperazione applicativa; il Documento Unico di Identità; la definizione delle anagrafi per l’identificazione di chi accede a servizi della PA; la dematerializzazione, digitalizzazione e conservazione dei dati, ovvero le “amministrazioni senza carta”; infine il rinforzo della parte infrastrutturale, delle reti e dei data center, un’azione sulla quale stiamo lavorando a partire dalla definizione delle regole tecniche per razionalizzare i numerosi data center disseminati sul territorio.
Sono tutti temi di cui si parla da anni. Dove sta la novità?
La novità è nell’utilizzo. Non sono più progetti, ma sistemi. Oggi siamo di fronte alla digitalizzazione di alcuni processi amministrativi che prima non c’erano e che interessano il dispiegamento di tecnologie sui territori. A livello istituzionale c’è una maggiore attenzione al coordinamento e alla cooperazione tra territori che prima non c’era. Questa linea va preservata e ulteriormente migliorata. Più che a una novità, siamo di fronte poi a una necessità inedita: le finanze sono scarse e fare efficienza, puntando sulla qualità, non è più un’opzione.
Quale delle sei priorità metterebbe in cima alla lista?
In realtà dovrebbero rispondere i cittadini. A mio giudizio una necessità importante è di arrivare a identificare gli utenti della PA una volta per tutte. Se accedono a servizi informatici non dovrebbero avere mille password. Scuola, Sanità, Fisco e altro: è il momento di unificare le anagrafi come avviene per alcuni servizi privati o in altri Paesi.
Non è una problematica della PA centrale?
Sì, ma esistono livelli regionali per ogni tipologia di anagrafica. Inoltre, le Regioni hanno competenze legate agli aspetti infrastrutturali. Difficile unificare se non c’è diffusione uniforme anche della banda larga. Inoltre, senza un sistema pubblico di connettività i data center farebbero fatica a interoperare. Da questo punto di vista, occorre un cambiamento epocale nel modo di attuare le politiche dell’innovazione. Non si tratta più, semplicemente, di gestire i servizi, ma di pensarne lo sviluppo.
Alcune Regioni sono sicuramente più avanti. Come fare?
Come Cisis abbiamo definito alcune Regioni come “capofila”. Si assumono responsabilità di carattere istruttorio tecnico e poi trasferiscono alle altre Regioni le informazioni puntuali e in alcuni casi anche il supporto tecnico.
Non sempre finisce bene, però. Si pensi alla Banca del Lavoro.
C’è ancora molto da fare. Vanno dispiegati livelli di coordinamento più efficienti e azioni anche a livello centrale.
Ma i ritardi sono di tipo politico-amministrativo o tecnologici?
Difficile prendere la scusa della tecnologia. Oggi le soluzioni IT sono adeguate alle necessità.
Qualcuno dice che mancano i soldi.
Beh, questa scusa forse è più vera. Non ci sono più progetti nazionali. I fondi Umts per i piani di e-goverment sono finiti. In alcuni casi hanno avuto riscontri positivi, in altri casi sono stati invece disseminati impropriamente. Abbiamo capito, però, da quell’esperienza che è meglio partire dagli standard e dalla cooperazione.
Quali le prossime scadenze?
Nei primi mesi del 2014 presenteremo una nuova analisi di supporto all’Agenda digitale.
Qualche anticipazione?
Alcune Regioni stanno correndo nel trovare soluzioni e applicazioni, puntando sul coinvolgimento del territorio. Per molte il 2013 è stato un anno di grande impegno.
Ma poi la politica legge le indicazioni dei tavoli tecnici?
Impossibile non farlo. Come Cisis abbiamo un portavoce delle Regioni, il presidente Serracchiani, che ci rappresenta per l’Agenda digitale. Il raccordo con il Governo esiste. Sarà una donna a garantirlo.
Come donna si trova bene nel mondo dell’Ict?
Sì, sono più di 20 anni che opero in questo contesto. All’inizio ero l’unica presenza femminile del Cisis poi la situazione è migliorata. Oggi un numero crescente di donne si occupa di tecnologia nella PA. Si deve alla crescita professionale e al maggior numero di laureate.
C’è spazio per le donne?
Sì, certamente. Anzi, nella PA c’è l’esigenza di nuovi profili e l’apporto di nuove competenze, soprattutto di giovani e di donne.
Ritiene ci sia un punto di vista femminile sulle problematiche tecnologiche?
Sì, la concretezza. Arrivare ai risultati operativi con entusiasmo, credendo in ciò che si fa. Le donne sono concrete, trovano i limiti ma proseguono ugualmente.
Pragmatismo?
Sì. Quello delle donne è certamente un punto di vista pragmatico. Nella PA è oggi più che mai indispensabile.