«Serve una lotta violenta contro la burocrazia». Mai prima di Matteo Renzi un Premier italiano aveva pronunciato parole tanto nette sulla necessità di riformare la pubblica amministrazione.
Ecco qualche esempio recente di inefficienza operativa che farebbe orrore perfino ai funzionari della Banca mondiale, abituati da sempre a convivere con le PA della Sierra Leone o della Cambogia.
I decreti legge sono uno strumento doppiamente eccezionale quando il ciclo economico è negativo; sono uno strumento indispensabile per governare la recessione e provare a invertire la caduta del Pil e dell’occupazione. Questo, ovviamente, in un paese normale dell’Eurozona con una burocrazia pubblica altrettanto normale e capace di dare seguito immediatamente alle disposizioni contenute nel provvedimento di urgenza. Non in Italia, dove diventa normalità il fatto che un decreto legge varato il 22 giugno 2012, dall’allora governo Monti su proposta dell’allora ministro Passera, denominato pomposamente DL Sviluppo Italia, possa essere ancora inattuato ben 23 mesi dopo la sua pubblicazione in G.U. La norma prevedeva un credito di imposta del 35% per le assunzioni a tempo indeterminato di dottori di ricerca o laureati specialistici in materie tecnico-scientifiche da impiegare in attività di ricerca. L’Italia non è la Germania neppure sul fronte dell’occupazione giovanile, visto che il 43% dei giovani italici sono disoccupati. Per tamponare la situazione e introdurre una disposizione anticiclica il governo Monti pensò di incentivare le assunzioni dei giovani più utili a produrre innovazione nelle imprese. Peccato, però, che sia in vigore soltanto sulla carta: dopo 23 mesi il ministero dello Sviluppo economico non ha ancora approvato il modulo utilizzabile da parte delle imprese per essere autorizzate ad assumere. E senza modulo gli effetti del decreto, ben 6.000 nuovi posti di lavoro all’anno, restano sulla carta.
E che dire dell’art. 31 del cosiddetto decreto del Fare del governo Letta varato nel giugno del 2013 che, per favorire l’erogazione di finanziamenti alle startup ed ai progetti di ricerca, prevedeva una deroga importante per la PA: andare avanti nel pagamento del finanziamento nonostante l’irregolarità del Durc sostituendosi, la singola amministrazione, all’Inps o all’Inail nel sanare l’eventuale irregolarità. Un anno dopo la PA nei fatti non attua la norma, come certifica un bando recente pro startup di Sviluppo Lazio che pretende la regolarità del Durc per accedere al finanziamento.
Tante storie diverse che rilancia una domanda che le parole di Renzi non hanno del tutto esplicitato: con una pubblica amministrazione del genere è possibile salvare l’Italia dal default e competere nell’economia globale?