Una task force che elabori un piano d’azione per i prossimi 20 anni. È la proposta che lancia Pietro Paganini, Curiosity Chair at Competere e docente John Cabot University, in vista del semestre europeo di presidenza italiano. “Sarà una grande opportunità per il nostro Paese”, spiega l’esperto al nostro giornale.
Task force o cabine di regia per il digitale. Se ne sono viste molte in questi anni…
Il punto è quello che hanno fatto queste task force che hanno identificato più che altro progetti, certamente necessari ma non sufficienti. Quello che è mancato, a mio avviso, è l’elaborazione di un piano d’azione per i prossimi venti anni. In questo senso è necessario un impegno a livello di governo che vada oltre l’obiettivo di digitalizzare la pubblica amministrazione.
Non la convince il fatto che Renzi abbia riportato in pancia al ministero della Semplificazione e PA l’Agenda?
Mi convince il fatto che, finalmente, l’Agenda sia tornata nella mani della politica e ad alti livelli di governo. Ma concentrare attenzione e risorse sulla digitalizzazione della macchina burocratica non basta a promuovere l’innovazione nel sistema paese.
Quale dovrebbe essere la strategia?
L’obiettivo di riformare la PA deve essere un punto – di primaria importanza certo – di un programma più ampio che investa la digitalizzazione di tutto il settore produttivo italiano nella sua specificità. Mi spiego: bisogna uscire dalla retorica di voler digitalizzare il “virtuale”, pensando di realizzare un Facebook o Google italiano, per intervenire sull’innovazione del nostro tessuto produttivo, tipicamente formato da piccole e imprese attive soprattutto nell’agricoltura, nella meccanica e nei servizi. Bisogna, dunque, inserire l’Agenda digitale nella tradizione produttiva italiana.
Digitalizzare un sistema produttivo dove mancano competenze digitali non è obiettivo facile da raggiungere. Secondo il Digital Scoreboard della Ue gli italiani, anche quello occupati, hanno scarsa dimestichezza con le nuove tecnologie. Che fare?
Il tema delle competenze è cruciale. È innegabile che abbiamo una forza lavoro non preparata ad affrontare le sfide richieste. Ma senza una chiara visione industriale sarebbe inutile pensare un piano di formazione adeguato che coinvolga scuole, università e centri di ricerca. Quelle istituzioni, infatti, devo sapere dove sta andando il nostro paese per “costruire” i lavoratori del futuro. E proprio la definizione di un progetto industriale per l’Italia, la riscoperta e la valorizzazione di una nuova politica industriale, è la chiave di volta per entrare nell’era del digitale. La totale assenza – decennale – di una politica industriale e di sviluppo ha determinato conseguenze drammatiche su qualsiasi tentativo di riforma. E questa assenza si ripercuote anche sulla digitalizzazione del paese.
Quindi la task force che ha in mente dovrebbe farsi promotrice di una nuova politica industriale?
Esattamente. Come detto prima serve un impegno a livello di governo per l’elaborazione di un piano d’azione necessario alla creazione di un ecosistema favorevole agli investimenti, soprattutto da parte delle Pmi. Penso a una task force ovviamente aperta ai contrbuti degli stakeholder, grandi e piccoli. A mio avviso si tratterebbe di una scelta che si potrebbe replicare anche a livello europeo proprio facendo leva sul semestre italiano di presidenza.