Il Consiglio di Stato critica duramente il Cad. A mancare – secondo il parere espresso da Palazzo Spada – la coerenza con le altre norme riguardati i procedimenti digitali, la copertura economica e lo Spid, già “bocciato” dal supremo tribunale amministrativo per quel che riguarda il tetto di 5 milioni per e aziende che si vogliano accreditare come provider.
Entrando nel dettaglio, il Consiglio di Stato rileva come il Codice dell’amministrazione digitale sia carente dei riferimenti alle stesse norme sostanziali: “la Commissione speciale – si legge nel parere – non può non sottolineare che il decreto legislativo dovrebbe assolvere in maniera più puntuale alla sua funzione di Codice dell’Amministrazione digitale, quale raccolta di norme disciplinanti tale branca del diritto, atteso che il medesimo è privo degli opportuni riferimenti alle discipline sostanziali dei vari procedimenti collegati alle disposizioni in esso contenute, quali ad esempio quelle relative al processo telematico, al diritto di accesso e alla trasparenza dell’azione amministrativa”.
In pratica , come spiega a CorCom l’avvocato Fulvio Sarzana, non ci sarebbe “coerenza con gli altri progetti già in essere come, ad esempio, la Pec o il processo civile telematico tanto per fare qualche esempio o anche il diritto all’accesso del cittadino”.
Critiche anche sul fronte economico. “Quanto al merito del provvedimento – prosegue il parere – la Commissione speciale osserva, in via preliminare, che la relazione predisposta dall’Amministrazione si è limitata a illustrare il contenuto delle singole disposizioni facenti parte della riforma in esame, senza approfondire sufficientemente le problematiche connesse con il contenuto di tali previsioni, il rapporto di queste ultime con la normativa di carattere nazionale e comunitaria e, infine, i possibili risvolti pratico-applicativi connessi con la concreta messa in opera della riforma di cui si converte”.
“In altre parole non sarebbe possibile fare una riforma della PA a costo zero – puntualizza Sarzana – Ricordiamo che alla fine del nuovo Cad è espressamente scritto che il provvedimento non determina maggiori oneri per lo Stato”.
Il Consiglio di Stato torna a criticare anche lo Spid, sia per quanto riguarda la scelta di coloro che svolgono all’interno dello Spid il ruolo di identity provider, che per quello che riguarda l’utilizzo di questo strumento.
Sotto il primo punto di vista, Palazzo Spada fa riferimento alle sentenze del Tar prima, e dello stesso Consiglio di Stato poi che appunto bocciava i requisiti finanziari per diventare provider.
Per quanto riguarda il secondo tema – ovvero l’uso dello strumento – Palazzo Spada chiede che ci sia più coerenza tra l’identità digitale, basata solo su una password, e i sistemi di identificazione più “forte” come Cie o Cns.
“Si tratta comunque di un parere interlocutorio – spiega ancora Sarzana – che invita il governo a rivedere le parti critiche e non di una bocciatura tout court”.