Cec-Pac, Turatto: “Dietrofront? Si rischia lo sconquasso”

Bisogna far comprendere a tutte le parti in causa come e perché va usata. Non c’è più tempo per i ripensamenti: tornare indietro significa impelagarsi in modifiche giuridiche e creare problemi al piano e-gov

Pubblicato il 03 Feb 2014

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I numeri sembrano parlare chiaro: per il mercato della posta elettronica certificata è arrivato un momento di svolta. Grazie anche alle leggi degli ultimi anni sull’obbligo per i professionisti e le imprese di dotarsi di questo strumento, e all’obbligatorietà di utilizzo imposta da alcune amministrazioni chiave, il numero di caselle Pec oggi attive in Italia si avvicina agli 8 milioni, con un traffico complessivo mensile di oltre 123 milioni di messaggi. C’è inoltre una tendenza all’aumento, considerato che nei prossimi mesi sono attesi importanti passi in avanti, sia sul fronte del processo civile telematico, sia su quello delle procedure di gara della Pubblica amministrazione.

In questo scenario in forte evoluzione, si parla invece poco della Pec per il cittadino, il servizio pubblico avviato quattro anni fa che dà la possibilità a tutti di avere una casella Pec dedicata alle comunicazioni con la Pubblica amministrazione.

I casi di utilizzo di questo tipo di Pec da parte delle amministrazioni sono più che frequenti: nelle università per la gestione dei bandi di concorso; nelle Regioni e nei ministeri per l’acquisizione di richieste di finanziamento; nei Comuni, per la trasmissione di certificati e le domande di concessione edilizia. I dati indicano tuttavia che, a oggi, le richieste di attivazione registrate dalla data di avvio sono state inferiori a 1,8 milioni. Un numero importante, il quale però evidenzia come, diversamente dalla Pec ordinaria, questo strumento non abbia ancora avuto il successo che ci si attendeva.

Certamente parte della divergenza tra Pec ordinaria e servizio gratuito per il cittadino deriva dall’effetto leva generato dagli obblighi di legge. Ma non basta, c’è pure qualche altro elemento. C’è che dopo il grande rilievo mediatico dato alle difficoltà tecniche dei primi giorni, poco si è fatto per diffondere capillarmente nelle amministrazioni una conoscenza dello strumento e delle sue potenzialità. Così come troppo poco si è fatto sul fronte della comunicazione verso i cittadini e per rendere il servizio pienamente utilizzabile da parte di tutti.

In questa situazione non c’è dunque da stupirsi se qualcuno si interroga sulla reale necessità di mantenere operativo il servizio. Al momento la questione è tutta teorica, dato che si tratta di un servizio previsto per legge che non può essere disatteso senza una diversa decisione del legislatore.

Ma al di là di ciò, il punto è che se mai il servizio dovesse venire meno, si avrebbero ripercussioni importanti sulle regole che oggi governano l’amministrazione digitale. Al servizio Pec per i cittadini è infatti correlata una parte fondamentale delle previsioni relative all’identità digitale e agli obblighi della PA in materia di comunicazione elettronica. Allo stesso strumento è inoltre legata la normativa in materia di elezione di domicilio per le comunicazioni con il settore pubblico.

Inoltre, venendo meno il servizio, verrebbe meno uno dei presupposti su cui le amministrazioni fanno forza quando riorientano al digitale la loro comunicazione con i cittadini: il fatto che con la Pec al cittadino l’e-gov non determina nessun aggravio di costi.

Ma lo sconquasso non sarebbe limitato solo alle regole, ma si ripercuoterebbe sull’intero – ancora fragile – sistema di e-gov del Paese. Come spiegare la fine del servizio a quei quasi due milioni di italiani che oggi ne usufruiscono? Dicendo loro che ci si era sbagliati e che il diritto alla comunicazione elettronica con la PA che era stato promesso era un obiettivo troppo ambizioso per questo Paese? E con che credibilità si potrebbe poi continuare a discutere di amministrazione digitale?

Dopo anni dedicati a creare un ambiente favorevole alla diffusione dell’e-gov tramite la costruzione di un solido impianto giuridico capace di dare certezze alle amministrazioni, e la formazione di una domanda crescente di servizi digitali da parte dei cittadini, un’eventuale decisione in tal senso rischierebbe di indebolire gravemente la spinta al cambiamento che oggi è in atto, sia pure tra mille difficoltà, all’interno degli apparati pubblici.

No, il servizio Pec per il cittadino continua ad essere un tassello essenziale dell’e-government di questo Paese! Semmai ciò che serve è potenziarlo, correggerne le criticità, rimuovere le cause di una diffusione rivelatasi meno pervasiva del previsto.

Va data soluzione alla questione dell’interoperabilità tra Pec ordinarie e Pec del cittadino. Non si tratta di un problema tecnico, ma di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze delle imprese che operano nel campo della posta certificata e gli interesse di tutti – cittadini, pubblica amministrazione, imprese, altri operatori del settore Ict.

Va potenziata la comunicazione verso i cittadini. Va soprattutto aumentata e migliorata l’informazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni, specie quelle locali, spiegando loro che lo strumento, oltre a rappresentare una soluzione semplice e poco costosa per tutti i problemi di comunicazione certificata, offre grandi – e ancora poco sfruttate – potenzialità in materia domiciliazione e di identificazione dei cittadini.

Non c’è più tempo per i ripensamenti. Il paese è in grado di migliorare e crescere, anche trasformando e innovando la propria pubblica amministrazione. Serve tuttavia continuità nell’impegno e nel sistema di regole: il “gioco dell’oca” non piace agli innovatori.

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