Intervenire sul sistema della società in house è corretto ed anzi doveroso, soprattutto perché è necessario che i loro sistemi IT siano efficienti e orientati al mercato. Ma il modo in cui la spending review agisce sul settore appare potenzialmente controproducente per le modalità e i tempi ed il modello di gestione che sottende, ovvero quello in full outsourcing”.
Mariano Corso, professore Ordinario e Responsabile Scientifico Osservatorio Cloud & ICT as a Service, School of Management Politecnico di Milano, analizza gli effetti che il decreto di spending review potrebbe avere sul settore Ict delle Regioni.
Partiamo dalle modalità e dai tempi previsti dal provvedimento. Cosa non la convince?
Aver inserito l’articolo 4 nel decreto è improprio in quanto la vendita o la chiusura delle in house non costituisce un taglio alla spesa – taglio che infatti non viene stimato -, ma semmai una liberalizzazione. I tempi dettati dal decreto per la vendita o cessione ai privati, inoltre, sono incompatibili con la complessità dei servizi erogati il cui affidamento all’esterno dovrebbe essere oggetto di una gara delicata e di una attenta contrattualizzazione. Chi conosce le procedure necessarie ad una simile operazione e i meccanismi di gara pubblica sa che è velleitario pensare di aver ultimato le cessioni entro dicembre del prossimo anno. Sarebbe inoltre difficile trovare contemporaneamente compratori per una quindicina di società IT che impiegano 5.000 addetti più un indotto di almeno lo stesso numero di persone. Per attirare il mercato occorrerebbe svendere gli asset e sovrastimare i contratti di servizio, con un danno economico notevole. C’è poi la questione del “modello” che la spending review intendere attivare.
Sarebbe?
Il decreto sottende a un modello di full outsourcing dei servizi IT che sarebbe – a mio parere – pericoloso. L’Information Technology è oggi per le amministrazioni regionali una leva strategica fondamentale, non solo per garantire il funzionamento di servizi critici essenziali (si pensi al sistema sanitario o a quello della riscossione dei tributi), ma anche per garantire nel tempo l’innovazione indispensabile a rendere i servizi stessi più efficienti e al tempo stesso di maggiore qualità. Nessuna organizzazione privata, banca o impresa che sia, in una situazione del genere penserebbe di esternalizzare completamente l’Ict a terze parti, non senza essersi prima assicurata un presidio interno in grado di garantire capacità governo e continuità del servizio.
Però il governo sta insistendo molto sull’apertura la mercato…
Il ricorso al mercato è fondamentale per garantire efficienza e innovazione, ma deve essere gestito in una logica di outsourcing selettivo e dinamico, la semplice cessione delle in house come oggi sono porterebbe ad un’operazione di full outsurcing dagli esiti quanto mai incerti.
C’è un’alternativa?
Servirebbe indirizzare le in house verso un percorso che le renda più snelle ed orientate al mercato. Enti che si occupino del presidio dell’architettura, dell’aggregazione e qualificazione della domanda e della gestione dei fornitori, lasciando invece al mercato lo sviluppo e la gestione operativa dei servizi. Molte in house hanno già intrapreso questo percorso, creando ottime ricadute in termini di efficienza e innovazione della Pubblica amministrazione e di sviluppo dell’offerta Ict sul territorio. Così come è concepito, invece, il decreto porterebbe a mettere sullo stesso piano sistemi IT regionali molto diversi per efficienza e modello organizzativo , forzando tutti verso un modello unico non sempre applicabile né conveniente. Se vogliamo che le PA siano gestite con criteri di responsabilità economica e orientamento all’innovazione, non possiamo poi forzarle per decreto a scelte che nessuna impresa privata accetterebbe.