Il 14 febbraio 2018 Provincia Autonoma di Trento, Friuli Venezia Giulia ed Emilia-Romagna hanno presentato alla commissione Adi il progetto Tripolo: Provincia di Trento, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia lavorano a un Data Center pubblico federato in cui verranno condivise e messe a disposizione anche di altri territori, competenze e infrastrutture per sviluppare ed erogare servizi pubblici digitali sicuri e di elevata qualità. Del valore dell’iniziativa parliamo con Mariano Corso, direttore scientifico di P4I e docente al Politecnico di Milano.
“La frammentazione delle infrastrutture digitali costituisce oggi uno dei principali freni allo sviluppo dell’Agenda Digitale – spiega Corso – Lo stesso piano triennale prodotto da Agid mette in luce quanto sia urgente superare una realtà complicatissima fatta di circa 11.000 data center pubblici per lo più obsoleti e poco sicuri, su cui girano più di 200.000 applicazioni che usano 160.000 basi di dati tra loro scarsamente integrate e consistenti. Una situazione che, oltre a costituire un evidente spreco di risorse, mette il nostro Paese in una condizione del tutto inadeguata a fronteggiare non solo le sfide ambiziose dell’Agenda Digitale e del piano Europa 2020, ma anche le più elementari necessità di adeguamento ad esigenze e regole di sicurezza e protezione dei dati personali”.
In questo contesto Tripolo rappresenta una novità nel panorama della PA italiana. Ci spiega perché?
La portata dell’iniziativa va ben oltre la dimensione tecnica e trascende anche i confini dei tre territori coinvolti. Sia nel merito dei contenuti e che nel metodo con cui si è stato raggiunto, infatti, l’accordo Tripolo costituisce un modello estendibile e replicabile su base nazionale in grado di aprire un percorso di consolidamento irrinunciabile per la PA italiana. Con gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano abbiamo per anni messo in luce come dietro alla frammentazione infrastrutturale si nasconda in realtà una ancora più perniciosa frammentazione della governance e delle competenze, una carenza di leadership che mina alle fondamenta la possibilità di fare dell’Agenda Digitale non un’aspirazione velleitaria e in fondo conformista, ma un’occasione di riforma vera e profonda dello Stato.
Perché finora non si è mai riusciti ad intervenire su questo fronte?
La radice del problema sta a mio parere innanzitutto nella mancanza di attenzione e visione relativa alla valorizzazione delle competenze e professionalità degli oltre 32.000 dipendenti pubblici che lavorano nell’ambito delle tecnologie digitali e che sono oggi dispersi nelle PA Centrali (18.000) e locali (14.000). A questi si aggiungono circa 10.000 dipendenti delle Società in-house centrali (4.000) e Regionali (6.000). Un patrimonio disperso e mal organizzato di competenze e professionalità che, sull’altare del pregiudizio verso l’inefficienza pubblica e dell’ossessione al taglio di costi, è stato lasciato invecchiare e deperire per mancanza di turnover e investimenti in formazione.
Con impatti negativi anche sul mercato Ict, immagino.
Tale situazione certamente non ha fatto bene neanche al mercato Ict, con 5,6 miliardi di euro di spesa in tecnologie digitali che oltre 20.000 PA polverizzano verso oltre 50.000 fornitori. Un sistema di Public Procurement totalmente inadeguato ha completato il danno, soffocando il mercato e spingendo verso gare al massimo ribasso che non hanno creato affatto efficienza, ma mortificato le professionalità e spinto le migliori energie del mercato a fuggire all’estero o a concentrarsi sul settore privato. Si tratta certamente di una pesante eredità di scelte sbagliate del passato nonché di visioni localistiche e spesso clientelari dell’informatica, che dal centro, né la lodevole dedizione operativa dell’AgID di Samaritani, né la gestione commissariale passata dal pragmatismo di Francesco Caio, all’abilità comunicativa di Riccardo Luna, fino alla visione tecnologica di Diego Piacentini, sono riuscite sin qui a superare.
Che ruolo possono giocare le in house e, nello specifico, di Assinter?
In questo panorama sconfortante un raggio di speranza viene dall’azione di Assinter (l’associazione delle società in-house delle Regioni e Province Autonome). Pur in assenza di un vero disegno di riordino istituzionale, le società in-house sono riuscite a collaborare trasformandosi in questi anni da simbolo di frammentazione e chiusura al mercato, a collante e punto di qualificazione e aggregazione della domanda, non solo all’interno dei propri territori, ma anche e soprattutto tra territori diversi e verso le istituzioni centrali. A partire dall’analisi e confronto di modelli organizzativi e di governance nati con storie e vocazioni molto diverse, Assinter ha puntato sulla formazione creando con l’ “Assinter Academy” un modello di formazione e qualificazione permanente condivisa e aperta al mercato che ha costituito in questi anni una piattaforma non soltanto di formazione, ma anche di creazione di linguaggi e modelli professionali condivisi e di condivisione di progettualità e riuso di esperienze e soluzioni.
Tripolo è anche il frutto di questa strategia?
Certamente il progetto rappresenta il frutto di questo percorso di avvicinamento e collaborazione, ed è quindi non soltanto un esempio interessante di razionalizzazione delle infrastrutture tecnologiche di alcuni territori virtuosi, ma anche e soprattutto un modello di leadership federale e aperta che, partendo dalle energie del territorio, supera la frammentazione politica e istituzionale e crea occasioni di condivisione di risorse e competenze. In un Paese in cui, superato l’impero Romano, il centralismo non ha mai più funzionato e in cui l’unica occasione di riforma istituzionale di questi anni è naufragata sull’altare della strumentalizzazione e del calcolo politico, la speranza può venire dalla visione intelligente e federale di leader responsabili che hanno piedi e cuori nei territori, ma la testa ben ancorata ad una visione delle istituzioni e dei servizi pubblici nazionali ed europei il cui futuro non può che essere che digitale e integrato.