PUNTI DI VISTA

Cultura italiana, dov’è l’innovazione?

L’avvicinarsi del nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei del Quadro Strategico Comune e di Europa Creativa è una buona chance per aprire un dibattito trasparente sulle strategie pubbliche per la cultura

Pubblicato il 01 Lug 2013

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La cultura è la grande occasione per riprendere in mano il senso e il rilancio dell’Europa. Oggi abbiamo la possibilità di scegliere quello che vogliamo diventare, e perché. L’avvicinarsi del nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei del Quadro Strategico Comune (per la cultura, in particolare, Fesr e Fse) e del programma Europa Creativa è una buona chance per aprire un dibattito trasparente sulle strategie pubbliche per la cultura.

I fondi strutturali hanno avuto un peso rilevante, negli ultimi anni, sul totale delle risorse nazionali affluenti al comparto: nel vecchio settennato l’Italia ha beneficiato di 8,8 milioni di euro da Eurimages, 33,5 dal programma Media e 24,6 da quello Cultura; dal Fus, nel 2012, sono arrivati alla cultura 411,4 milioni; dai fondi coesione (dati Fondazione Rosselli) 1,3 miliardi di euro!

Il budget Ue della Politica di Coesione 2007-2013 aveva previsto 5,9 miliardi per la cultura (l’1,7% del totale). In particolare: 3 miliardi di euro programmati per il tema prioritario “Protezione e conservazione del patrimonio culturale”, 2,2 miliardi di euro per “Sviluppo di infrastrutture culturali”, 775 milioni per “Altri aiuti per il miglioramento dei servizi culturali”. Per ciò che concerne l’Italia, alla cultura era stato riservato il punto 5 delle 10 priorità individuate nel vecchio ciclo con un budget di previsione di 800 milioni di euro per la cultura su un totale di 28 miliardi. Secondo i dati Open Coesione (al 30/06/2012) risultava che le risorse effettivamente allocate non superassero i 14,4 miliardi di euro (circa la metà), dei quali la cultura rappresentava il 3,3% con 475 milioni (elaborazioni Fondazione Rosselli).

L’analisi delle risorse allocate conferma e rafforza quanto era già visibile in termini di policy dalla distribuzione dei fondi nei documenti di programmazione, e cioè che la politica culturale italiana è indirizzata principalmente alla tutela del patrimonio culturale. Il valore e la diffusione del patrimonio culturale nel Paese giustifica sicuramente una forte concentrazione su questo ambito, tuttavia si può ipotizzare che una simile preponderanza di spesa sia dovuta anche alla mancanza di una vision innovativa sul ruolo e le potenzialità della cultura. In linea con il programma Europa Creativa 2014-2020, l’Italia non può esimersi dal confrontarsi con le possibilità offerte dalle nuove tecnologie digitali e dall’innovazione tecnologica e, al contempo, pensare al digitale come strumento di creatività e produzione di cultura.

I margini offerti dal nuovo Quadro Strategico Comune 2014-2020 non sono molto ampi: nelle 11 aree tematiche non compare mai la parola “cultura”, che viene menzionata solo come declinazione delle strategie per promuovere l’inclusione sociale nel Position Paper presentato nel settembre 2012 in preparazione dell’accordo di partenariato con l’Italia. L’Italia ha risposto con un documento che non vuole esprimere un piano strategico (materia per il Governo Letta) ma solo indicazioni di metodo. Nelle quattro pagine dedicate al tema la cultura viene principalmente legata alla necessità di tutelare e valorizzare il patrimonio e al turismo. Il documento è attualmente al centro di un confronto pubblico con le regioni italiane. La Proposta di Accordo di partenariato 2014-2020 che emergerà dal dibattito sarà portata alla Conferenza Unificata per l’intesa e, successivamente, all’approvazione del Cipe entro la fine del 2013. Questo significa che i giochi sono ancora aperti e che spetterà al nuovo Governo dare l’impronta definitiva alla strategia italiana sull’uso dei Fondi.

Che ruolo hanno il Ministero dei Beni Culturali e gli altri pezzi della governance nazionale e locale della cultura nel nuovo contratto di partnership del governo con la Commissione? Perché manca un responsabile della governance culturale in grado di contrattare da una posizione di forza un adeguato riconoscimento del forte legame tra cultura e sviluppo? Perché non ci sono studi, rapporti, indicatori per fornire ai tecnici dell’economia una visione forte sul legame tra cultura e sviluppo?

E, ancora, perché il capitale privato dovrebbe fidarsi di investire nella cultura se, in primis, l’amministratore pubblico che se ne occupa è il primo a non avere una visione di lungo periodo? È il momento di esprimere una politica culturale italiana in grado di contrapporre un modello nazionale all’iperprotezionismo francese e all’economicismo britannico. L’assenza di un’agenda politica riconosciuta segna un forte divide tra governance dell’economia e governance della cultura che non fa bene alla cultura e non fa bene al sistema economico del Paese.

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