Lo schema della tripla elica è stato usato per indicare che i tre
soggetti che creano il sistema dell’innovazione (l’università,
le imprese e la pubblica amministrazione) devono interagire tra di
loro avendo ciascuno un ruolo attivo, propulsivo appunto, come
l’elica. La crisi della new economy ha minato l’idillio della
Silicon valley e degli spin off da università a territorio mentre
le politiche nazionali riducono il loro spazio: ci sono meno
risorse da distribuire e nel mercato globale l’innovazione non ha
luogo, avviene nello spazio della rete.
Questo non significa che il contesto territoriale non conti: anzi,
quel contesto conta di più di prima: è l’unico che conta. Se
un’area ha successo, è perché riesce a funzionare, nel suo
insieme, in modo da cogliere domande e da offrire risposte
innovative che interagiscono con il sistema dell’innovazione
globale, che si muove in rete.
La ricerca mondiale si muove e si interconnette come più solida e
dinamica componente della rete, e l’incidenza del peso di questo
volume di attività sullo sviluppo del capitale umano è crescente.
Ciò significa che si riducono le barriere all’entrata nella
ricerca. Un buon dipartimento può nascere legato ad un solo
ricercatore: se egli è un hub della rete di ricerca, questo fatto
sposta il peso sul sistema dell’istituzione che lo ospita.
Minori barriere all’entrata significano che è più difficile
mantenere le posizioni competitive: e l’Italia, come dicono tutte
le survey internazionali, perde terreno. Qual è il suo punto
debole? Ce ne sono molti. Preferisco insistere su uno solo:
l’Italia non è in rete. L’Italia si è ritagliata nicchie, che
ha coltivato tra le laudi del piccolo è bello e del localismo,
come se potessimo aggrapparci alle microreti che definiscono il
capitale sociale del distretto, o al campanilismo del dialetto
nelle scuole.
Siamo fuori dalla rete dal punto di vista linguistico, delle
infrastrutture e delle regole: la nostra amministrazione pubblica
non è in rete. I suoi servizi arrancano su Internet, ma perfino i
telefoni non sono in rete. Infatti la rete fisica esiste, ma il
cittadino non sa dove si trovano le risposte, non sa dove chiamare
e chi gli risponde. Da cui il successo delle iniziative
pionieristiche del ministero dell’innovazione di dare un call
center di prima risposta (Linea Amica) e di allargare l’accesso
alle reti della PA con Reti Amiche.
È la cultura della rete e della relativa comunicazione, che in
questo Paese non abbiamo e che dobbiamo sviluppare. Un’iniziativa
importante in questo senso è stata avviata all’Aquila dopo il
terremoto: non solo ricostruzione, ma anche innovazione. Trenta
aziende hanno investito, con la regia del ministero per la Pubblica
amministrazione e l’innovazione e continueranno a farlo per
realizzare progetti per la scuola e l’università (wireless,
scuola digitale), per la business continuity, per creare centri di
competenza sulla dematerializzazione. Sono progetti vetrina per le
aziende e per le loro tecnologie, ma sono anche iniziative che
possono sviluppare in attività per il mercato ed entrare nella
rete. Perché, non dimentichiamolo: la principale rete è il
mercato stesso.
A questa iniziativa, e con lo stesso intento di mettere insieme i
tre soggetti dell’innovazione che abbiamo richiamato
all’inizio: pubblica amministrazione, imprese e ricerca, sono
stati avviati i Centri di competenza sulle tecnologie innovative,
nei quali converge l’interesse dell’università e
dell’imprese, con il Ministero che svolge il ruolo di promotore
sia nella fase di costituzione sia nella fase di
“commercializzazione” del Centro stesso. Con Sun Microsystems
è avviato alla Sapienza per promuovere il cloud computing e le
soluzioni open source per la scuola; con Microsoft al Dipartimento
di informatica e Automatica di Roma Tre per il Voip come tecnologia
integrata di comunicazione; con Adobe all’Università
dell’Aquila per la dematerializzazione dei documenti. Altri sono
in cantiere sulle tecnologie del search all’Università di
Firenze, sulle tecnologie della sostenibilità energetica e
gestionale al Politecnico di Torino, a Venezia per la gestione
tecnologica e procedurale degli interventi ambientali, a Bologna
per le tecnologie di “inclusione” rivolte alla sanità e alla
scuola.
Questi Centri non hanno alcun vincolo operativo da parte del
ministero per la Pubblica amministrazione e l’innovazione, il cui
ruolo è quello di facilitatore. Entreranno in una rete nazionale e
nelle reti mondiali che le società e la ricerca sviluppano
autonomamente. L’Agenzia per l’innovazione, aperta a Milano dal
ministero costituirà un hub di questi centri. Anche qui sarà un
hub leggero, di rete, non di controlli. L’Agenzia supporterà i
Centri per la loro crescita nei progetti europei e il loro accesso
alle reti di collaborazione internazionali e con altre imprese.
Dobbiamo recuperare terreno perduto: le capacità e le risorse
umane ci sono, manca, a volte in modo drammatico, la capacità di
stare e di interagire in rete.