Se l’Italia è fra i Paesi al top a livello mondiale riguardo al sistema sanitario nazionale, lo stesso non può dirsi sul fronte della sanità digitale. Anzi, su questo terreno ci classifichiamo fra gli ultimi della classe. È quanto emerge dal report “Innovative Europe. The Way Forward” presentato oggi a Bruxelles da I-Com.
L’Italia si piazza al 20mo posto nella classifica europea relativa al livello di digitalizzazione dei servizi sanitari, nettamente al di sotto dei principali Stati Ue. Se è vero che in pole position si piazzano i paesi del nord Europa, che “storicamente” sul digitale sono avanti sotto ogni punto di vista – le performance migliori le registrano Danimarca, Olanda e Finlandia – altre economie mature sono parecchio davanti a noi. La Spagna è fra i top performer al sesto posto della classifica, la Germania è undicesima, la Francia quindicesima. Ultime della classe Romania, Polonia e Bulgaria.
“Le difficoltà che l’Italia fa registrare dipendono innanzitutto dalla frammentazione delle competenze in materia tra i diversi livelli di governo coinvolti e le regioni”, sottolinea il presidente di I-Com Stefano da Empoli che ha curato il rapporto. “La mancanza di coordinamento, insieme a un trend decrescente degli investimenti pubblici in Ict, spiega il ritardo dell’Italia. Occorre uscire da logiche provinciali e di corto respiro per riuscire a misurarsi con successo in Europa. Un limite che non riguarda solo la salute ma che si estende anche ad altri settori della pubblica amministrazione italiana che avrebbe bisogno di puntare con decisione sulla digitalizzazione per aumentare l’efficienza e migliorare la qualità dei servizi offerti ai cittadini”.
Data economy, un business da 680 miliardi nel 2025
Lo studio affronta ad ampio raggio il tema dell’innovazione a livello europeo: oltre all’e-health vengono presi in esame energia e digital trasformation. I-Com ricorda che econdo i dati diffusi dalla Commissione europea, in Italia la digitalizzazione cresce a ritmi troppo lenti rispetto alla media. Si tratta di una trasformazione in cui l’economia dei dati è centrale: nel 2018 l’impatto è stato pari a 377 miliardi di euro in Europa e si stima che, da qui al 2025, possa arrivare a sfiorare i 680 miliardi, con una crescita di oltre l’80%. Ma l’Italia è ancora indietro: siamo al diciottesimo posto in classifica, nettamente al di sotto della media europea. Entro i prossimi sette anni, in alcuni Paesi l’impatto dei dati sull’economia sarà, invece, piuttosto significativo: è il caso di Estonia, Svezia, Olanda e Regno Unito in cui l’effetto sarà compreso tra il 5 e il 10%, contro una media europea di poco superiore al 4.
Intelligenza artificiale: solo 22 le startup italiane
E la strada per l’Italia appare lunga e in salita anche nel campo dell’intelligenza artificiale: sulle oltre 760 start-up europee attive nel settore, solo 22 sono italiane. Riguardo al settore energetico secondo gli analisti dell’istituto, nonostante gli impegni assunti dal 2015 con l’accordo di Parigi sul Cambiamento climatico, il divario tra le politiche intraprese e gli obiettivi prefissati al 2050 è ancora ampio. Dopo il raggiungimento del record storico nel 2018, le emissioni inquinanti continuano a salire. A pesare sono soprattutto le grandissime differenze regionali: se l’Unione europea ha registrato buone performance sul fronte della riduzione delle emissioni – dal 2008 al 2017 sono diminuite di circa il 30% – lo stesso non si può dire per Paesi come la Cina e l’India. D’altro canto, nello stesso periodo, nel Vecchio continente la quota di energia rinnovabile ha raggiunto il 17,5% mentre la percentuale più alta tra i maggiori Paesi europei è stata registrata in Italia: nel nostro Paese oltre il 18% dell’energia prodotta deriva da fonti rinnovabili.