Sarà capitato anche a voi mentre la pandemia decresce, e magari vi siete vaccinati senza conseguenze, di ricevere “consigli per gli acquisti” via app, sms o e-mail contenenti offerte, apparentemente molto convenienti da parte di compagnie assicurative, società di servizi medici, con diverse tipologie di “abbonamento” a servizi di cura a distanza.
Sappiamo che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede quasi 20 miliardi di euro per portare all’avanguardia il Servizio Sanitario Nazionale ma anche per innescare un modello predittivo: con Ospedali di Prossimità, Case di Comunità, il “Fascicolo Sanitario Elettronico”, tanta telemedicina, l’assistenza domiciliare, la digitalizzazione (finalmente!) dei servizi, il trattamento centralizzato dei dati per la ricerca e la formazione.
Progetti, proposte e linee chiare di indirizzo delle risorse che verranno gestite e assegnate con gare tra il 2022 e il 2026. Gli operatori, i cittadini e i pazienti temono il frazionamento dei poteri, la lentezza perdurante nelle implementazioni, i divari territoriali, la mancanza di connessione e di trasferimento delle best practice da un punto all’altro.
La Telemedicina e tante altre tecnologie sono (sotto) utilizzate da anni e oggi hanno ancora più vaste possibilità, ma con quale continuità? Da quanti ospedali o medici del Ssn? Non sono ancora uno standard, pure necessario.
Né si trova una parola su come e quanto il servizio pubblico debba o possa collaborare con il privato. Intanto assicurazioni, sistemi privati di previdenza ed assistenza medica e sociale, laboratori e medici si muovono e costruiscono offerte che arrivano “prima” del sistema pubblico. E fanno benissimo. Se si mettessero insieme potrebbero “allentare la morsa” sulle strutture e aiutare prevenzione e cura per tutti.
Si stima che il mercato globale delle app mediche mobili valga 17,61 miliardi di dollari entro il 2027, secondo l’ultima valutazione di Emergen Research. L’aumento del livello di consapevolezza tra i pazienti sui vantaggi delle app mediche mobili, la crescita della medicina personalizzata e l’aumento della necessità di diagnosi e cure point-of-care stanno spingendo la domanda del mercato.
Qual è stato finora il risultato di questa rivoluzione annunciata ? Sappiamo quanto e dove è diffuso e monitorato il battito cardiaco degli ipertesi? E la glicemia dei diabetici? L’ossigeno nel sangue di pazienti che hanno avuto patologie come il Covid 19? O di quelli che hanno patologie croniche come Bpco, e di coloro che dovrebbero seguire diete, fare controllo e cure precise. No. Ognuno per sé, pericolo per tutti. Non credo ci sia un accesso a queste tecnologie altrettanto facile ed univoco come (è diventato) ad esempio la prenotazione del vaccino, almeno in alcune regioni.
Un apparecchio per la pressione, un pulsossimetro, un misuratore per la glicemia, ormai l’hanno in tanti e centinaia di migliaia portano devices e smartwatch che monitorano tutto – sonno veglia, pulsazioni, passi – ma nemmeno sappiamo bene quale sistema di Intelligenza Artificiale li raccoglie cosa ci fa con quei dati. Accanto allo scandalo del mancato tracciamento del virus, c’è l’immancabile tracciamento “buttato via “ o regalato ad altri. Davvero il servizio pubblico non può fare da driver (più che da solo poliziotto) per connettere, per una maggiore coscienza, conoscenza, gestione ed utilizzo corretto dei dati che riguardano la salute?
Ripetere che la “Salute è un bene comune” non serve, se la raccolta e la gestione dei dati individuali, l’uso delle tecnologie personali non diventano cultura comune e pratica diffusa ed accessibile. Che si tratti di erogazione pubblica o privata di servizi non cambia. Il futuro sarà fatto di dati, e di scelte consapevoli sulla salute, tra sistemi e trattamenti. E si costruisce da adesso.