Sul fronte dell’utilizzo del digitale la situazione italiana si evidenzia, nel contesto europeo, per la carenza di “sensibilità” e “consapevolezza”. Sensibilità, perché è difficile spiegare altrimenti la scarsa diffusione, ad esempio, del wifi negli spazi pubblici o nei mezzi di trasporto (nei treni regionali della Norvegia il wifi è una presenza normale, mentre in Italia è legato all’alta velocità). Ma anche consapevolezza, perché la brutale trasposizione dei moduli cartacei sul web e le mille perle raccolte dal blog #padaincubo, come i servizi online in orario d’ufficio, denotano una ignoranza profonda sul “senso del digitale”.
Non è un caso che l’Italia abbia tra le più alte percentuali, in Europa, di persone che, sulla base dei dati del Piaac dell’Ocse e della Scoreboard dell’Agenda Digitale Europea, possono definirsi analfabeti digitali (intorno al 70%) e tra i più bassi livelli di utilizzo dei servizi di e-government (21%). Si è intanto davvero creata la nicchia del “digitale” (un settore, come aveva definito Letta l’Agenda Digitale, al pari dell’agricoltura), con i temi della “scuola digitale”, “PA digitale”, digitalizzazione dei processi confinati in una comunità ristretta. Si è creata così tra l’altro un’associazione concettuale tra questo contesto “digitale” e tutto ciò che si ispira e si declina con terminologia anglosassone: anche l’Open Government è relegato nei confini della nicchia “digitale” e le tematiche relative (vedi, secondo il rapporto indipendente sull’Italia, le consultazioni dell’Open Government Partenership) coinvolgono pochi “addetti ai lavori”.
La sensazione è che questa situazione di separazione sia alimentata e alimenti una barriera culturale che viene associata con l’etichetta del digitale, separazione tra una piccola popolazione che ha consolidato e condiviso una visione abbastanza omogenea, ormai considerabile come ovvia a livello internazionale, e il “resto dell’Italia” che reputa il tema da affrontare, ma difficile da maneggiare, potenzialmente pericoloso, cercando di allontanare nel tempo, per quanto possibile, la resa dei conti del cambiamento reale, oppure che, ad esempio, stenta a superare la percezione del web come ambiente ostile, con una voglia sempre più ricorrente di rifugiarsi nei confini amichevoli di facebook.
E questo succede in un Paese in cui la metà degli adulti ha tutt’al più conseguito un diploma di scuola secondaria inferiore. Come uscire da questo stallo? Intanto, per rompere lo schema attuale, si potrebbe iniziare con l’attuare due piccole regole:
a) spostare le risorse e le energie oggi utilizzate per l’organizzazione dei tanti convegni sul digitale (spesso con gli stessi relatori e partecipanti) in iniziative finalizzate a contagiare e coinvolgere quante più persone sui temi del futuro (e del presente) della nostra società, partendo dal punto di vista dei benefici per ciascuno;
b) abolire l’attributo “digitale”. Non parlare più di scuola digitale, ma di futuro della scuola (ha senso una scuola senza utilizzo e comprensione del digitale?), non più di PA digitale (per la stessa ragione), e così via. Di conseguenza, trasformare il Cad.
Semplificarlo e farlo diventare il testo dei principi e delle regole dell’amministrazione pubblica. Provocazioni. Naturalmente, non basta. Dobbiamo considerare prioritaria la diffusione del “pensare
digitale” come chiave di interpretazione della realtà da costruire, utilizzando una comunicazione semplice e coinvolgente, di cui abbiamo già ottimi esempi.
Necessario quindi un programma di sensibilizzazione e formazione specifico per i maggiori attori della comunicazione: operatori dei mass-media, politici, amministratori, manager, insegnanti (di tutti gli ordini di scuola), come previsto nel Programma Nazionale cultura digitale promosso da AgID. Il tutto nel contesto di una strategia organica di crescita nazionale (economica, sociale) che dia priorità all’Agenda Digitale. Non in separate politiche “di digitalizzazione”, ma per rendere superfluo l’attributo “digitale”.
Per una trasformazione profonda, che ci consenta di parlare di futuro. E di costruirlo. Senza etichette.