Sono arrivati tre decreti in meno di un anno in tema di Sanità digitale e in particolare di Fascicolo sanitario elettronico. Confermano quanto questo strumento sia cruciale per riformare la Sanità italiana, almeno secondo gli ultimi due Governi.
Eppure la volontà di cambiare non basta: le norme possono fare ben poco senza una strategia che, coinvolgendo le Regioni, riesca ad allinearle su un obiettivo comune, con tempi certi e rapidi. La sfida sarà azzerare le distanze che adesso sono enormi tra i diversi territori. Lo dicono gli esperti e lo sa anche questo Governo, a quanto si legge dalle dichiarazioni del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.
“Tutti gli ultimi provvedimenti hanno ribadito la centralità del Fascicolo Sanitario Elettronico (Fse) per ridurre gli sprechi e aumentare la qualità del nostro sistema sanitario tramite la tecnologia”, sottolinea Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Ict in Sanità del Politecnico di Milano. “Da una prospettiva orientata alla “Razionalizzazione dell’attività assistenziale e sanitaria” (decreto Balduzzi) si è passati alla necessità di “Sfruttare le leve in grado di combinare razionalizzazione e sviluppo” (decreto Crescita 2.0). Il decreto del Fare è più pragmatico, nel focalizzarsi sul Fascicolo: intende accelerarne l’adozione poiché fissa scadenze e un budget di spesa”, continua Corso. Chiede infatti a Regioni e Province Autonome di presentare un piano di realizzazione del Fascicolo entro la fine di quest’anno, mettendo sul piatto 10 milioni di euro per il 2014 e 5 milioni a partire dal 2015.
“Abbiamo meno di sei mesi di tempo per trovare questi soldi e capire come usarli al meglio. La copertura finanziaria è infatti da chiedere al Ministero dell’Economia su proposta dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Ma il vero problema è un altro: le grandi differenze tra aziende ospedaliere quanto a uso del digitale”, aggiunge.
Lo conferma una recente dichiarazione del ministro Lorenzin: “Ci sono Regioni che sono al 90% di sviluppo del digitale e altre che sono in difficoltà. La sfida è uniformare accessi e procedure elettroniche, perché le diverse strutture nelle varie Regioni possano dialogare tra loro”.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico è importante appunto perché è la chiave di volta per dare uniformità e interoperabilità alla Sanità italiana. Al tempo stesso però è un punto di arrivo, possibile solo si è già raggiunta una certa uniformità di sviluppo da parte di diverse strutture. Ricordiamo infatti che il Fascicolo è uno spazio digitale unico che raccoglie tutti i dati di ciascun paziente e la relativa storia clinica e quanto fatto presso diversi medici e strutture ospedaliere.
“Ma se tali strutture sono sprovviste di Cartelle Cliniche Elettroniche mature e interoperabili tra loro, un Fascicolo non potrebbe accedere alla gran parte dei dati. Cosa però necessaria per razionalizzare gli sprechi e migliorare i percorsi di cura. Sarebbe come investire nella costruzione di un sistema ferroviario per mettere in comunicazione due città che non hanno merce da scambiarsi”, dice Corso.
Secondo l’ultimo rapporto del Politecnico di Milano, ad eccezione di Lombardia ed Emilia Romagna tutte le Regioni italiane hanno ancora molto da fare in termini di Fascicolo Sanitario Elettronico e solo il 6% delle cartelle cliniche italiane è completamente dematerializzato. Eppure – come ha ricordato la stessa Lorenzin citando stime del Politecnico – la Sanità digitale farebbe risparmiare qualcosa come 6,8 miliardi di euro l’anno all’Italia.
“Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi fissati dal Governo servono vere e proprie roadmap di sviluppo digitale, che tengano conto dell’attuale livello di digitalizzazione dei vari attori. Devono consentire a Regioni e strutture sanitarie di pianificare dei percorsi di progressiva digitalizzazione dei servizi di cura e assistenza che siano coerenti tra di loro e sfruttino tutte le sinergie presenti”, suggerisce Corso.
Il consiglio è “di mettere il più possibile a fattor comune le buone pratiche e favorire investimenti complementari al Fascicolo Sanitario”. “C’è un problema politico e uno economico”, concorda Paolo Colli Franzone di Netics. “Da una parte serve un piano politico nazionale, che affidi la digitalizzazione della Sanità italiana a una responsabilità centrale, la quale comunque dovrà relazionarsi con ministeri competenti, Regioni, Aziende Sanitarie e Ospedaliere”. “Dall’altra parte, bisogna trovare le risorse necessarie a una digitalizzazione uniforme: secondo le stime di Federsanità servono 5 miliardi di euro in tre anni. La soluzione dunque è una sola: attivare forme di partenariato pubblico-privato”.
Portare la rivoluzione digitale nella Sanità italiana: l’obiettivo è dunque ormai chiaro e le leggi pure. Quello che manca però è un piano dettagliato e fattibile per arrivarci. Ed è indispensabile passare all’azione in tempi rapidi e certi.