“Per arrivare sull’Everest prima devi raggiungere il Nepal”. Alfonso Fuggetta, ceo del Cefriel e docente del Politecnico di Milano usa questa analogia per spiegare perché è importante spingere sulla fatturazione elettronica.
Fuggetta, crede che la fatturazione sia la killer app della PA?
Guardi, molto più semplicemente credo che sia un progetto che soddisfa una delle condizioni per il buon funzionamento delle organizzazioni – pubbliche o private che siano – ovvero l’esistenza di processi tracciati e quantificati. Detto questo è chiaro che la fatturazione è condizione abilitante necessaria, ma non sufficiente, per innovare la PA.
Tracciare i processi, nel caso della fatturazione, potrebbe contribuire a definire politiche di spending review?
Andiamo per gradi. La fatturazione elettronica non dà una risposta immediata al problema finale – il taglio della spesa pubblica, in questo caso – ma certamente è uno strumento per dare finalmente conto delle entrate e delle uscite della pubblica amministrazione italiana.
E anche a dare una cifra certa di quanto sono i debiti della PA.
Anche in questo caso può agire da testa d’ariete. È innegabile infatti che, ad oggi, non sappiamo quanto l’amministrazione deve alle imprese anche perché non esistono dati certi frutto di processi tracciati.
La scadenza del 6 giugno potrebbe trovare più impreparate le imprese invece che la “solita” PA. Da cosa dipende?
Principalmente dalla dimensione dell’impresa italiana che, nella maggior parte dei casi, è medio-piccola. Spesso si tratta di aziende che hanno difficoltà a digitalizzare i processi sia perché non riescono ad affrontare il problema del change management sia perché – almeno per piccole – la digitalizzazione può avere costi non sempre sostenibili. In questo senso assume un grande significato il lavoro che stanno facendo le associazioni di categoria per accompagnare le aziende alla data del 6 giugno.
La fatturazione è un primo passo importante per innovare la PA. Gli altri quali dovrebbero essere?
Le priorità individuate da Francesco Caio – identità digitale e anagrafe unica – non tanto per i progetti in sé quanto per le modalità con cui sono stati identificati che hanno battezzato un nuovo modo di progettare l’innovazione.
Che sarebbe?
È stato adottato un metodo di lavoro che ha coinvolto tutti gli attori interessati alle diverse iniziative e si sono messi in luce alcuni criteri e strategie progettuali che potranno essere utili per il lavoro dei prossimi mesi. A ben guardare e a voler essere minimamente obiettivi, in pochi mesi, anzi settimane – da ottobre a dicembre 2013 – è stato fatto molto lavoro e si sono introdotte delle discontinuità.
Bisogna andare avanti sulla strada di Caio, dunque?
Il lavoro di Caio sta dando frutti. Detto questo sarebbe facile e fin troppo ovvio affrontare questo tema dicendo che servono investimenti per promuovere l’innovazione digitale nelle imprese e nella società. In effetti, sarebbe auspicabile rilanciare in modo diffuso il credito di imposta per la ricerca e l’innovazione, così da spingere le imprese a investire in innovazione e in innovazione digitale. Auspicherei che la legislazione del paese, invece di tutelare il “vecchio”, promuovesse la creazione “del mondo nuovo”, sostenendo e premiando l’adozione di processi, strumenti, e tecnologie digitali.
Un ruolo centrale per le competenze digitali?
Da anni siamo bombardati dal mantra secondo il quale i problemi “non sono mai tecnologici”. Ma più passa il tempo e più mi accorgo che i “problemi non tecnologici” nascono dal fatto che chi studia questioni complesse non essendone competente, le interpreta e regola distorcendole e creando i problemi.
E-FATTURAZIONE
Fatturazione digitale, Fuggetta: “Un progetto inevitabile”
Il Ceo del Cefriel e docente del Polimi: “Tracciare i processi, lo switch off parte da lì. Aziende indietro? Pesano i costi ma anche l’incapacità delle Pmi di gestire il change management”
Pubblicato il 22 Apr 2014
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