Giannini: “La buona scuola? Anche tecnologia e innovazione”

Il ministro dell’Istruzione spiega a CorCom perché il Piano nazionale scuola digitale funzionerà: “Finalmente c’è una strategia di ampio respiro che prevede competenze risorse adeguate e tempi certi”

Pubblicato il 20 Nov 2015

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Un futuro nuovo all’insegna dell’innovazione non solo per la scuola, ma per tutto il Paese. Prima di partire per la sua missione in Cina, il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, ha spiegato a Corcom come il Piano nazionale scuola digitale (Pnsd) cambierà l’Italia.

Come si inserisce il piano scuola digitale nel più generale percorso di riforma della PA avviato dal Governo?

Il Piano costituisce un elemento centrale del percorso di riforma della PA perché mira a colmare divari sia dal punto di vista delle infrastrutture (connettività, laboratori e spazi per la didattica) che dei processi (dematerializzazione dei processi amministrativi, uso del digitale nella didattica e nei processi di apprendimento). Questo in sinergia con molte azioni in atto per l’Agenda Digitale. Stiamo, di fatto, partendo dalla scuola.

Da dove verrà attinto il miliardo necessario ad attuare il piano?

Le risorse per finanziare il Piano vengono in parte dalle risorse previste dalla legge Buona Scuola. Altri fondi vengono dal bilancio ordinario del Miur, alcuni espressamente destinati al Pnsd, altri dedicati in quota parte alla realizzazione dei suoi obiettivi. Il Pon Istruzione 2014-2020, copre un’ulteriore parte di finanziamenti destinati al Piano che stanzia 600 milioni sulle infrastrutture e 400 sulle nuove competenze, la formazione del personale, il monitoraggio e le misure di accompagnamento.

Non è la prima volta che si tenta di digitalizzare la scuola, sul fronte reti e didattica, perché questa ovrebbe essere la volta buona?

Perché questo è un piano strategico, di ampio respiro e con una visione sostenibile, per il quale sono state previste risorse adeguate, tempi certi di attuazione e una stretta collaborazione con attori anche esterni al Miur.

Da cosa si differenzia il Piano dalle strategie precedenti?

Il Piano non è un semplice dispiegamento di tecnologia. Risponde alla necessità di costruire una visione di Educazione nell’era digitale. Parlare solo di digitalizzazione, nonostante i nostri ritardi, non è più sufficiente. Si rischierebbe di concentrare i nostri sforzi sulla dimensione tecnologica invece che su quella culturale. In passato si è perlopiù perseguito l’obiettivo di dotare alcune classi o scuole della tecnologia necessaria per sostenere alcuni processi e interazioni didattiche. Oggi avviamo un’azione di sistema che dovrà toccare tutte le scuole, nessuna esclusa. Siamo partiti già con un bando, quello sul wi-fi, che ci consentirà di migliorare le reti esistenti o costruirne di nuove in oltre 6.000 istituzioni scolastiche.

Fino ad oggi erano state le Lim l’asset della digitalizzazione. Come si inseriranno le lavagne interattive nell’azione di digitalizzazione degli spazi per l’apprendimento?

Le Lim sono una delle possibili modalità di fruizione e interazione con i contenuti didattici; possono essere molto efficaci e utili, e coprono molte funzionalità che le scuole hanno imparato a massimizzare. Allo stesso tempo, le scuole usano anche altri modi per proiettare, visualizzare e interagire con i contenuti durante le lezioni, con costi e ingombro di spazi diversi e adattati alle attuali capacità delle classi e degli spazi.

Il ministero, a partire dal 2016, offrirà la possibilità di una esperienza all’estero a mille docenti e dirigenti scolastici “con propensione all’innovazione e alla cultura digitale”, prevede il programma. I docenti italiani saranno pronti?

I programmi di mobilità internazionale esistono e sono usati da tempo e i docenti e dirigenti ne traggono grandissimi benefici. Quello che abbiamo pensato di fare è ritagliare un modello di mobilità sulle esigenze del digitale: per offrire ai docenti e i dirigenti – tra quelli maggiormente motivati – la possibilità di frequentare ambienti che offrano loro occasioni di apprendimento, aggiornamento e confronto.

Digitalizzare la didattica significa anche ripensare i contenuti. Il Miur ha preso accordi – o ha intenzione di farlo –con le case editrici per sviluppare contenuti in linea con quanto previsto dal piano?

La necessità per gli editori di sviluppare dei contenuti in forma digitale si è per fortuna consolidata. Grande impulso è stato dato dalla necessità di dotarsi del libro in formato digitale. In aggiunta a questo, molti progetti sui temi del digitale sono stati avviati. Un’azione specifica -la numero 15, chiamata “Scenari innovativi per lo sviluppo di competenze digitali applicate” – mira proprio a stimolare il mercato, non solo commerciale, alla produzione di percorsi didattici strutturati in linea con gli obiettivi del piano.

Una delle chiavi diel progarmma di innovazione è l’alternanza scuola-lavoro. Come intendete operare su questo fronte?

L’alternanza scuola-lavoro è uno dei pilastri della legge Buona Scuola e, proprio grazie all’entrata in vigore della riforma, diventa un elemento strutturale dell’offerta formativa. Una delle prime azioni per attuarla nel campo del digitale e dell’innovazione è stata firmare un protocollo d’intesa con Confindustria Digitale, per attivare specifici canali di apertura all’alternanza verso aziende legate al digitale. Si tratta di una sfida importante: con almeno 400 ore da effettuare negli ultimi tre anni degli istituti tecnici e professionali e 200 nei licei. Una vera e propria rivoluzione, che il Governo ha inteso sostenere anche finanziariamente con una dotazione di 100 milioni di euro all’anno. Siamo quindi pronti a partire: quest’anno avremo almeno 500.000 ragazzi impegnati obbligatoriamente nell’alternanza. A regime, sul triennio, saranno circa 1 milione e mezzo gli studenti coinvolti.

Parliamo di banda larga. Avete appena firmato un protocollo firmato con lo Sviluppo economico: il Miur dovrà identificare le scuole dove il Mise interverrà a livello infrastrutturale. Già sapete dove sono concentrati gli istituti in digital divide?

Tutto il territorio nazionale soffre in diverse sue aree di un digital divide infrastrutturale – aree interne, zone di montagna, ad esempio. Per mappare le necessità di connettività delle scuole e rispondervi abbiamo siglato un accordo con il Mise: abbiamo già condiviso i dati necessari, e dal loro incrocio con i lavori del Piano sulla Banda Ultra Larga avremo una mappa degli interventi e un cronoprogramma certo che ci porterà a coprire tutto il territorio nazionale.

La scuola può svolgere un ruolo di diffusore di una cultura digitale più vasta- oltre il coding, tanto per semplificare – che possa dare ai ragazzi strumenti per leggere una società sempre più digitale? Penso ai percoli del web, al tema della privacy…

Agiremo sulle competenze degli studenti, formando anche adeguatamente i docenti, su tre livelli. In primo luogo, lavoriamo sul rapporto inevitabilmente stretto tra competenze digitali e competenze trasversali, ossia il pensiero critico, laterale, la capacità di risolvere problemi (problem solving). In secondo luogo, andando al cuore delle nuove alfabetizzazioni, introduciamo il pensiero logico e computazionale (coding) e altri aspetti operativi delle tecnologie informatiche (robotica, manifattura additiva, etc). In terzo luogo, lavoriamo per sviluppare le cosiddette competenze di cittadinanza digitale, un livello che vede nel digitale un agente attivo dei grandi cambiamenti sociali: a questo fanno capo i temi dei diritti della rete, dell’educazione ai media e alle dinamiche sociali online (social network), la qualità, integrità e circolazione dell’informazione (information literacy).

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