Giustizia digitale, quell’inchiesta che fa emergere il lato ombra del “Riuso”

Tra inchieste della magistratura sulla presunta “cricca” che voleva mettere le mani sul sistema IT delle procure e l’accusa del Garante per la protezione dei dati personali alla società che gestisce il Pct i progetti italiani arrancano. L’avvocato Michele Gorga analizza gli impatti

Pubblicato il 11 Lug 2016

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E’ del mese scorso la notizia dell’iniziativa dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sulla Net Service S.p.A., società che nel 2013 per il PCT ha fatturato 4.455.369 di euro, accusata di condotta anticoncorrenziale e abuso di posizione dominante nella fornitura del relativo software al Ministero della Giustizia, oltre che degli applicativi per i servizi ai professionisti del settore giustizia.

Sempre a proposito dell’iniziativa dell’Autorità è stato posto il problema delle responsabilità amministrative e penali per l’aggiudicazione delle relative commesse senza procedure di gara per somme sconosciute con “affidamenti diretti”.

Non si è fatto a tempo a interrogarsi su quali garanzie introdurre per procedere a un’informatizzazione sicura e trasparente nel settore giustizia che una nuova inchiesta, questa volta della Procura della Repubblica di Roma, devasta dalle fondamenta tutto il procedimento e l’architettura dell’informatizzazione del settore giustizia.

L’indagine è quella sul TIAP, ossia sul trattamento informatico degli atti processuali, già in uso presso la Procura della Repubblica del tribunale di Roma, e che attraverso la messa a disposizione, gratuitamente, nel catalogo del “Riuso” sarebbe dovuto essere estesa a tutte le Procure delle Repubbliche d’Italia. Questo software, poi, secondo i primi risultati delle indagini “evidenzia anche criticità di gestione del sistema, in termini di riservatezza degli atti, posto che lo stesso recepisce e controlla anche atti riservati, in quanto afferenti la fase delle indagini preliminari…” e consentirebbe quindi, ai soggetti fornitori, l’accesso al fascicolo processuale e la conoscenza in anteprima degli atti d’indagine, dei provvedimenti emessi. Ad esempio come richieste di carcerazione o sequestro a danno degli indagati e quindi, attraverso un illecito monitoraggio, di potere anticipare le mosse della Procura.

Dalle intercettazioni è emerso che vertici di primissimo piano della magistratura inquirente in buona fede, ignorandone le falle del TIAP, sarebbero stati favorevoli alla sua diffusione su larga scala, ossia a tutte le Procure. Ciò non deve stupire, perché non potrebbe essere diversamente dato che i capi degli uffici giudiziari, in cronica penuria di mezzi finanziari e risorse umane, sono sempre ben favorevoli ad avere, legalmente, gratuitamente Software del “Riuso” già di proprietà del ministero della Giustizia.

Il “progetto dei progetti” dell’informatizzazione del TIAP, per il quale l’applicativo Exisquer, era il cavallo di Troia che doveva coinvolgere CSM, Procure, Ministero della Giustizia e Agenzia per l’Italia Digitale.

Dall’indagine pare, inoltre, che sia emerso che singoli soggetti in carica nel 2014 in capo a varie strutture, anche del Ministero della Giustizia e all’Agenzia per l’Italia Digitale, fossero scientemente coinvolti, la qual cosa pone seri problemi riguardo a varie questioni. La prima è quella concernente il c.d. “Riuso” del Software che se da un lato è un vantaggio per la Pubblica Amministrazione, per abbattere i costi, dall’altro diventa un pericolo per le penetrazioni nella sicurezza. La seconda è che se un prodotto è nel catalogo del “Riuso” l’autorità informatica ne dovrebbe garantire l’assoluta sicurezza, cosa che oggi non fa. La terza, provocatoriamente, è che nel sistema dell’informatizzazione della giustizia si dovrebbe ripensare all’architettura nel senso della piena condivisione dei soli dati e degli atti finali, consentendo alle singole strutture territoriali autonomia nell’approvvigionamento delle infrastrutture. Si avrebbero così più fornitori e maggiore sicurezza per l’intero sistema.

Oppure, ad esempio, fare com’è stato fatto in Germania dove, dopo un periodo di utilizzo del sistema di redazione, condivisione e pubblicazione delle decisioni giurisdizionali, attraverso la Consolle del Magistrato, si è preferito abbandonarla per passare al sistema misto in cui la trattazione individuale del “caso” avviene con le modalità tradizionali e i dati condivisibili circolano nel sistema informatizzato.

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