L’Agenda digitale italiana manca di una visione organica. È il giudizio dell’Istituto Bruno Leoni (Ibl) secondo cui il provvedimento rappresenta sostanzialmente una ripresa di misure già esistenti e mai implementate. Nel “Manuale delle Riforme” che l’istituto ha elaborato in vista della elezioni si sottolinea come “piuttosto che intervenire per razionalizzare e semplificare i processi, la maggior parte delle proposte tende a digitalizzare la burocrazia, così che anziché ridurre i costi si rischia di sommarli a quelli già esistenti”.
Tuttavia – secondo Ibl – alcuni progetti, in particolare quelli relativi a identità unificata, open data e digitalizzazione dei documenti cartacei, se ben sviluppati, possono rappresentare un importante volano per l’espansione di un settore digitale più competitivo e di qualità, incentivare una semplificazione della burocrazia, oltre a favorire una maggiore partecipazione degli stakeholder coinvolti. Ovviamente questa prospettiva è strettamente vincolata all’effettiva applicazione del quadro normativo, oltre che dalla volontà di superare la frammentazione di competenze attualmente in capo a diversi soggetti. “Senza una maggiore semplificazione e razionalizzazione sul piano normativo l’ultimo provvedimento – spiega il manuale – potrebbe essere solo uno dei tanti”.
In questo conetsto un ruolo molto importante sarà quello dell’Agenzia per l’Italia digitale che, può potenzialmente diventare uno strumento efficace per promuovere una vera e piena digitalizzazione della PA. Ibl evidenzia come superando il rapporto tra PA e imprese Ict, caratterizzato da una logica di acquisizione di prodotti e forza-lavoro, e passando all’acquisizione di servizi e processi (Bpo), la domanda pubblica assumerebbe un ruolo di traino e non di salvataggio di aziende che altrimenti non sarebbero sufficientemente competitive per sopravvivere in tale settore. L’Agenzia potrebbe quindi stimolare l’innovazione Ict e la nascita di nuovi modelli di business: ad esempio, le iniziative di smart cities potrebbero essere realizzate in una logica Ppp (Partnership pubblico-privata), così che i risparmi consentano di compensare almeno in parte gli investimenti realizzati. Esternalizzare il servizio richiederebbe anche meno risorse per la formazione del personale interno, che sarebbero usate per la formazione dei cittadini nell’utilizzo delle nuove tecnologie in un’ottica di “inclusione digitale”.
L’Agenzia, inoltre, attraverso forme di project-financing potrebbe ridurre la presenza, ora preponderante, delle Ict pubbliche, oggi non più giustificata da motivazioni tecniche, per stimolare la nascita di aziende private. Inizialmente e per un tempo limitato si potrebbe prevedere che vengano loro garantiti gli investimenti nei nuovi progetti, ma dovranno poi essere in grado di diventare pienamente autonome.
“Tuttavia – evidenzia lo studio – a oggi l’Agenzia non sembra orientata a questa soluzione: basti pensare che, per quanto riguarda le comunità intelligenti, l’Agenzia dovrebbe essere assistita da un comitato di undici componenti, di cui solo tre sono però designati dalle associazioni di imprese o di cittadini maggiormente rappresentative, mentre gli altri sono espressione di stakeholder pubblici”.
Entrando nel dettaglio dei progetti relativi all’identità digitale e al documento unificato, Ibl evidenzia che “un ulteriore passo in avanti consisterebbe nell’adozione di un vero e proprio ‘testo unico dell’identità’, che miri non solo a creare un unico documento d’identità o, almeno, che l’identità di un cittadino sia riconoscibile dai diversi soggetti e istituzioni indipendentemente da quale documento si utilizzi ma finalizzato anche a ridurre la frammentazione e la sovrapposizione di competenze, regole e leggi in materia”. L’esempio da seguire sarebbe quello dell’iniziativa National Strategy for Trusted Identities Cyberspace (Nstic) che ha ideato un vero e proprio mercato per proteggere la privacy dell’identità digitale, il cui furto costa miliardi di dollari l’anno. La Nstic ha concepito un “Cyber World”, l’“Identity Ecosystem”, finalizzato a migliorare il sistema di password usato per loggarsi online, che è considerato una delle principali cause dei furti d’identità, poiché i navigatori tendono spesso a utilizzare la medesima password per i propri diversi account.
L’“Identity Ecosystem” consiste in un mercato che consente ai fruitori di scegliere il miglior fornitore di password multiple che emetterebbe credenziali fidate che migliorano l’identità. Lo stesso soggetto potrebbe quindi ottenere una credenziale digitale dal suo fornitore di cellulare e un’altra dall’università, potendo poi utilizzare entrambe per le mail, il conto corrente, i social network, eccetera, senza bisogno di ricordarne diverse.
I fornitori del servizio dovrebbero accordarsi sugli standard per identificazione, sicurezza e privacy, ma nel complesso i clienti potrebbero fruire di un servizio più veloce, conveniente e sicuro.
L’Anagrafe nazionale della popolazione residente potrebbe essere integrata con la misura relativa agli open data, che dovrebbero fornire non solo informazioni più chiare e fruibili per gli stakeholder, ma sarebbero sfruttati per creare un’anagrafe unitaria che fornisca dati accessibili e utilizzabili sia per la PA che per i cittadini, per cui dovrebbero essere semplificate le procedure di accesso ai servizi online e di comunicazione con la PA, “così da non vanificare – sottolinea l’istituto – i benefici in termini di minor tempo e maggiore trasparenza e favorire quindi una migliore e-partecipation”.
Secondo Ibl, “sono ancora deboli le norme relative alla progressiva sostituzione di documenti cartacei con quelli digitali, che dovrebbero essere rese cogenti e finalizzate a semplificare processi e procedure, altrimenti la digitalizzazione implicherebbe solamente costi addizionali”. Ad esempio l’articolo 13 – prescrizione medica e cartella clinica digitale – al comma 5 stabilisce la possibilità di conservare le cartelle cliniche esclusivamente in forma digitale. Ma senza un intervento che preveda obblighi e sanzioni per gli inadempimenti, “è arduo illudersi che tali misure possano essere recepite, e la discrezionalità della burocrazia continuerebbe, quindi, a farla da padrone, impedendo la piena digitalizzazione end to end e dunque la sostituzione dell’erogazione tradizionale dei servizi con il formato digitale necessaria a garantire una completa semplificazione burocratica”.
Rimanendo nel settore sanità, Ibl rileva “ scarsa trasparenza e arretratezza tecnologica”. Gli investimenti nella sanità digitale risultano essere ancora insufficienti per poter godere dei benefici descritti: l’Osservatorio Ict in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano stima che l’Italia nel 2011 avrebbe investito nell’informatizzazione del servizio 1,3 miliardi di euro, pari a circa l’1,1% del costo complessivo del Servizio sanitario nazionale stesso.
Infine si critica l’assenza dell’e-commerce nell’Agenda digitale . “Aumentando le procedure di acquisto online si otterrebbe un aumento della produttività del personale addetto, diminuirebbero i tempi delle procedure di acquisto, si ridurrebbero i prezzi e le procedure negoziali per gli acquisti. Tutto ciò non solo a beneficio di una minore spesa pubblica, ma anche di una maggiore trasparenza su come e dove il denaro dei contribuenti viene speso e investito”.