IL SONDAGGIO

Il Codice appalti nel caos digitale. I Rup: “Troppe insidie e criticità”



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Da un’indagine, commissionata dall’Asmel, che ha coinvolto circa mille responsabili unici di progetto emergono ritardi nell’utilizzo della nuova piattaforma a causa di malfunzionamenti e appesantimenti procedurali. Continua il braccio di ferro con Anac: “Poco sostegno e inadeguatezza del sistema”. Chiesto incontro urgente

Pubblicato il 24 apr 2024



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Per il 77% dei Responsabili unici di progetto (Rup), la digitalizzazione del ciclo di vita degli appalti rappresenta senza dubbio un’opportunità, a patto che i sistemi telematici siano usabili e non comportino appesantimenti procedurali. La transizione digitale sta infatti comportando molte insidie, tanto che il 69% dei rispondenti l’ha giudicata un’esperienza negativa a causa delle troppe criticità riscontrate e delle continue modifiche introdotte. Solo l’8% degli intervistati non ha riscontrato criticità.

Il risultato emerge da un’indagine realizzata su circa 1.000 responsabili unici di progetto da Noto Sondaggi per conto di Asmel, l’associazione per la sussidiarietà e modernizzazione degli enti locali che rappresenta oltre 4.400 Comuni in tutt’Italia.

Un avvio fra numerosi ritardi

L’avvio della spinta al digitale, resa possibile grazie al nuovo codice appalti, ha presentato numerosi ritardi negli ultimi quattro mesi. La cosa però non sembra preoccupare l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), che nonostante le sollecitazioni e difficoltà operative non ha fornito risposte adeguate per il 58% degli intervistati.

Per 1 Rup su 2 la digitalizzazione del ciclo di vita degli appalti è importante in tutte le fasi, per il 31% nella fase di affidamento, mentre per il 4% nella fase di progettazione integrata e nel sistema di controllo dell’esecuzione. Tra gli adempimenti in scadenza a preoccupare di più gli Enti vi sono in primis le sanzioni al Rup per l’obbligo di trasmissione ad Anac (57%).

L’associazione dei Comuni Asmel ha denunciato le difficoltà delle stazioni appaltanti con una lettera aperta inviata al presidente Busia a fine marzo scorso e che ha raggiunto oltre 800 sottoscrizioni. Asmel richiede quindi un incontro proprio per superare le tante difficoltà: “I dati del sondaggio sono la conferma che il problema degli appalti digitali non sono di certo i Comuni – sostiene Francesco Pinto, segretario generale di Asmel – nonostante il poco sostegno da parte di Anac e dell’inadeguatezza del suo sistema centrale, i Comuni sono pronti ad accogliere la sfida della digitalizzazione e dell‘innovazione ma non possiamo permetterci che lo facciano da soli”.

Anac nel mirino dei Comuni

Solo pochi giorni fa, sempre su questo fronte, una parte dei Comuni italiani è insorta con una lettera contro l’Autorità nazionale anticorruzione. “Anac, invece di chiarire perché non rispetta il Codice Appalti che la obbliga a non autorizzare le stazioni appaltanti non qualificate a bandire gare in proprio, chiede chiarimenti a queste ultime, da trasmettere in cinque giorni, pena multe salate fino a un massimo di 5.000 euro“, recita il testo, sottoscritto in pochi giorni da oltre 300 comuni aderenti ad Asmel, l’associazione che aggrega oltre 4.400 amministrazioni in tutta Italia.

I Comuni ricordano di aver salutato con favore l’obbligo di digitalizzazione dell’intero ciclo degli appalti scattato dal primo gennaio scorso, perché avrebbe dovuto produrre non solo trasparenza, ma anche semplificazione delle procedure, ed evidenziano che l’autorità di vigilanza ha chiesto e ottenuto di assumere il ruolo di ‘orchestratore’ dell’interscambio dati tra le diverse piattaforme informatiche coinvolte nel nuovo sistema. Ma lamentano che la data del primo gennaio ha comportato un blocco delle attività causato dai troppi malfunzionamenti del sistema di digitalizzazione.Per Asmel Consortile multa da 93mila euro e stop come centrale di committenzaL’Autorità anticorruzione (Anac) ha intanto comminato una sanzione da 93mila a Asmel Consortile, società che è stata anche sospesa dalla qualificazione come centrale di committenza, ottenuta illegittimamente. L’Autorità, si legge in una nota, ha provveduto a cancellare la società anche dall’elenco delle stazioni appaltanti qualificate. Pertanto Asmel Consortile non è titolata a svolgere gare in nome e per conto di enti pubblici. Anac ha chiarito che Asmel non è una centrale di committenza, né un soggetto aggregatore. Lo svolgimento delle funzioni di centralizzazione della committenza pubblica spetta ai soli soggetti pubblici. Asmel Consortile risulta priva dei requisiti di legge, secondo quanto approvato dal Consiglio di Anac con la delibera N. 195 del 23 aprile 2024.Nella delibera, Anac parla di “gravità della condotta di Asmel Consortile”.

“Faremo valere in tutte le sedi le nostre ragioni”, annuncia Francesco Pinto, Segretario generale di Asmel. «Sono 10 anni che Anac ci descrive come malfattori e ci manda la Guardia di finanza. Non vuole prendere atto che l’Associazione rappresenta oltre 4.400 enti soci e la centrale opera con 2.000 Comuni e accomuna due realtà diverse con l’espressione Sistema Asnel che evoca ben altro tipo di struttura. Dimostreremo ancora una volta che il sistema Asnel è di gran lunga più corretto del sistema Anac”. Secondo il presidente “Anac dovrebbe spiegare perché non ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica e perché la delibera non cita alcuna nostra falsa autodichiarazione. In compenso, sostiene di aver riscontrato solo oggi che nella Banca dati Anac degli appalti pubblicati negli ultimi 5 anni sono presenti 4.563 accessi che ritiene “illegittimi” da parte di Asmel Consortile che le hanno permesso di bandire altrettante gare illegittime. A suo avviso, questi presunti accessi illegittimi rappresentano false autodichiarazioni. Insomma, Anac dichiara di non aver saputo svolgere appieno il proprio ruolo di Autorità di Vigilanza. Anzi, sostiene di non essere finora riuscita a inibire questa presunta attività illegittima a causa di frammentarie e disorganiche riforme legislative e dei nostri diversi ricorsi. Come non fosse stata sempre coinvolta nei processi di riforma e non fosse legittima l’azione di tutela dei nostri diritti. In ogni caso, riconosce che le dichiarazioni su migliaia di accessi non sono avvenuti a sua insaputa. Messa in questi termini, la mancata vigilanza non sarebbe colposa ma dolosa”.

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