LE FORBICI SULLA PA

In house, è ora di cambiare

Le società regionali nel mirino della spending review. Plaudono le aziende
private, ma le Regioni non ci stanno. All’orizzonte un nuovo modello: nasceranno le stazioni appaltanti?

Pubblicato il 04 Giu 2012

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4,3 mld di euro nel breve periodo su un totale di spesa aggredibile pari a 100 miliardi. È la cifra sotto osservazione della spending review del commissario Enrico Bondi che andrà divisa tra stato, regioni ed enti locali. E proprio nel segmento di tagli dedicato alle regioni potrebbero finire anche le società in house, comprese quelle dell’Ict che gestiscono i progetti di innovazione del comparto pubblico locale.
Per ora la bozza del provvedimento a cui sta lavorando il governo (e che dovrebbe diventare un decreto legge) prevede una “razionalizzazione” delle spese: una riduzione in termini monetari della spesa per l’acquisto di beni e servizi e un ridimensionamento delle strutture dirigenziali. Obiettivo: generare risparmi già per la seconda metà del 2012.

“L’attività di revisione della spesa di ogni amministrazione – fanno sapere da Palazzo Chigi – dovrà concentrarsi sulla razionalizzazione delle attività e dei servizi offerti sul territorio, finalizzata alla riduzione dei costi e alla razionalizzazione della distribuzione del personale, anche attraverso concentrazioni dell’offerta e dei relativi uffici”. Il programma prevede tagli anche mediante “accorpamento, degli enti strumentali e vigilanti e delle società pubbliche.” Inoltre ci dovrà essere una riduzione in termini monetari per la spesa per l’acquisto di beni e servizi anche mediante l’individuazione di responsabili unici della programmazione di spesa, nonché attraverso una “più adeguata utilizzazione delle procedure espletate dalle centrali di acquisto e una più efficiente gestione delle scorte”. Una strategia, quella del governo, che ha messo subito sull’attenti chi – player di settore in prima fila – guarda con diffidenza alle società in house, “colpevoli” di mangiare circa il 25% del mercato dell’IT pubblico che in Italia ancora rappresenta il maggiore traino agli investimenti. Secondo le imprese, i costi di gestione e le spese sostenute dalle società partecipate da Regioni, Provincie e Comuni, devono essere le prime a subire i tagli. È in queste realtà infatti che ancora sussistono sprechi di ogni tipo, spesso nascosti. Non solo: c’è un esercito di decine e decine di consiglieri di amministrazione e revisori dei conti, di amministratori delegati e di presidenti lautamente remunerarti, ma c’è anche il capitolo delle assunzioni senza controllo, quelli degli appalti e in generale degli affidamenti esterni.


È il caso di Sicilia e-Servizi posta in liquidazione lo scorso febbraio. Dalla relazione stilata dalla commissione di inchiesta voluta dall’Ars emergono compensi dei dirigenti “sproporzionati se non illegali”, totale incertezza sulla natura dei rapporti contrattuali del personale, comprese le modalità di reclutamento, debiti per circa 76 milioni di euro e soprattutto “gravi irregolarità”, come la mancata strutturazione della società, che mettono “a repentaglio – si legge nel documento – non solo la continuità aziendale ma probabilmente anche l’utilità di gran parte del piano di informatizzazione”.
Preoccupate invece che la mannaia dei tagli si abbatta indiscriminatamente sulle aziende pubbliche, le Regioni che grazie all’affidamento diretto riescono a risparmiare fino a 20 milioni di euro l’anno, pagando prodotti e servizi innovativi circa il 25% in meno che se li acquistassero dal mercato. “Non stiamo parlando di bruscolini – fanno sapere dalla Conferenza delle Regioni – Si tratta di risparmi assolutamente necessari in un periodo in cui Regioni ed enti locali sono strozzati dal patto di stabilità e si trovano nell’impossibilità di investire diversamente per innovare la pubblica amministrazione e rivitalizzare il tessuto produttivo dei territori”.
Secondo Greta Nasi, docente associato presso Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico della Bocconi, il tema delle in house è certamente un tema sensibile che però va affrontato guardando non tanto all’eliminazione di queste realtà quanto a una visione evolutiva del ruolo che queste imprese possono svolgere nella pubblica amministrazione.


“Le in house oggi operano come se fossero privati, che puntano a fare fatturato e aumentare il volume dei profitti – spiega la Nasi – Una modalità operativa che vizia in qualche modo il mercato ma che soprattutto impedisce una coerente evoluzione della PA che fa dell’IT l’asset dell’efficienza. Quello che è mancato finora a queste società è una mission definita che le renda capaci di tradurre gli obiettivi degli enti in progetti qualificati; in sostanza una funzione di project management. Solo cambiando il ruolo in questa direzione le società potranno creare valore aggiunto per le amministrazioni; un valore che non sempre è direttamente valutabile tramite il mero risparmio, ma che riguarda sempre più l’efficienza della macchina pubblica”.


Ed è proprio in questa direzione che si sta muovendo Assinter. All’interno dell’associazione si sta sempre più affermando una serie di tendenze che vanno dalla gestione dei servizi condivisi all’interno del sistema della pubblica amministrazione locale (con grandissimi risparmi e grandissime possibilità di recuperare efficienza ed efficacia) fino agli share services, ovvero i centri di servizi condivisi, nelle organizzazioni più grandi, in entrambi i casi con un massiccio ricordo all’outsourcing. Il tutto in un quadro in cui le in house funzionano da “stazione appaltante intelligente” in grado di qualificare la domanda pubblica e sostenere la PA nel percorso di switch off.

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