L'INTERVISTA/2

In house, Volpi: “Tagliare solo dove esistono sprechi”

Il deputato della Lega Nord: “I privati lamentano scarsa concorrenza? Loro non c’erano quando si doveva investire nell’Ict pubblico”

Pubblicato il 04 Giu 2012

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«Le società in house? Sono servite finora perché sono andate a colmare un gap a livello di investimenti che nessun privato era disposto a colmare e servirano sempre di più in vista dell’attuazione dell’Agenda digitale”. Raffaele Volpi, deputato della Lega Nord e membro della Commissione Affari Costituzionali della Camera, difende le attività delle aziende regionali.
La sua è una difesa a spada tratta. Sarà perché la Lega ha un rapporto “viscerale” coi territori o c’è dell’altro?
Guardi, in questo caso la nostra storia conta poco. Io sto ai fatti. E i fatti parlano di società in grado di far risparmiare risorse alle amministrazioni: è il caso di Csi Piemonte che in due anni ha fatto risparmiare alla Regione mezzo miliardo di euro, oppure di Lepida che in Emilia Romagna ha contribuito quasi ad azzerare il digital divide locale con un mix di tecnologie che va dalle reti terrestri al satellite. E sono state in grado di ottenere questi importanti risultati proprio perché vicine alle esigenze dei territori e perché ben conoscono cosa c’è dietro un processo amministrativo. La capacità di queste società sta, non tanto nella capacità di iniettare tecnologia, ma soprattutto di innovare i processi, coinvolgendo il tessuto produttivo locale. Si dovrebbero analizzare questi aspetti prima di dire che le aziende regionali sono uno spreco.
Però ci sono anche realtà che hanno fallito: Sicilia e-Servizi, in liquidazione, e Lait ferma da due anni. Che fare?
Indubbiamente si tratta di fallimenti che pesano sull’innovazione e soprattutto sulla casse regionali. In questo caso ripensare la governance dell’IT locale è fondamentale per un cambio di passo.
Le associazioni aderenti a Confindustria affermano che le attività in house falsano lo scenario competitivo perché le società regionali operano con affidamento diretto senza gara e hanno un costo del lavoro più alto di quello applicato dal mercato. Lei che idea si è fatto?
Mi paiono delle critiche nettamente di parte. Ricordo che le in house sono andate ad investire in settori – l’Ict è uno di questi – per i quali i privati, fino a 20 ani fa circa, non mostravano alcun interesse. Siccome oggi l’Ict è diventato, almeno potenzialmente, una fabbrica di profitti le grandi aziende si ricordano che servonon gare pubbliche?
Non sarebbe d’accordo ad operare tagli in un contesto di spending review?
Io sono convinto della necessità di tagliare gli sprechi laddove ci sono. Anche nelle in house ovviamente. Ma non prima di aver stilato una “lista” – ovviamente semplifico per dire che l’analisi è prioritaria – di quelle che funzionano e di quelle che non funzionano. Non si può fare di tutta l’erba un fascio altrimenti la spending review rischia di trasformarsi in un taglio indiscriminato che l’Italia non si può permettere di subire, soprattutto in un settore strategico come quello dell’Ict. Credo che le Regioni, tramite le loro aziende, possano contribuire alla realizzazione dell’Agenda Digitale.
In che modo?
Lavorando in maniera collaborativa per mettere a sistema le buone pratiche. Non dimentichiamo che alcuni territori sono molto più avanti sulla digitalizzazione dei processi amministrativi e dei servizi a cittadini e imprese rispetto agli enti centrali. Non è un caso che nella cabina di regia ci sia anche un rappresentate delle Regioni. Finora invece non ho visto,alcun un rappresentante del mercato nella cabina.
Perché ce l’ha tanto con le imprese?
Non ce l’ho con loro, rilevo solo che hanno perso una grande occasione per far crescere il Paese.
Quale?
Quella di diventare “sponsor” dell’IT sul territorio e sviluppare soluzioni in linea con la domanda. Si tratta di una modalità che permetterebbe di innovare a costi più ragionevoli e far fruttare i budget ridotti di cui dispongono oggi le PA.

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