Il settore pubblico è destinato a essere fortemente impattato dalla diffusione delle soluzioni basate sull’intelligenza artificiale. In particolare, il 57% dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici italiani è altamente “esposto” rispetto allo svolgimento della propria attività, ovvero sarà interessato da una forte interazione tra le mansioni svolte e quelle che gli algoritmi sono in grado di svolgere. Questa interazione potrà tradursi in un arricchimento delle attività, oppure in una vera e propria sostituzione dei lavoratori. Si tratta di ben 1,8 milioni di persone, in particolare dirigenti, ruoli direttivi, tecnici, ricercatori, insegnanti, legali, architetti, ingegneri, professionisti sanitari e assistenti amministrativi.
A dirlo è la ricerca “L’impatto dell’intelligenza artificiale sul pubblico impiego” presentata questa mattina da Fpa, società del gruppo Digital360, in apertura dell’edizione 2024 di Forum PA, l’evento annuale di confronto tra i soggetti pubblici e privati dell’innovazione in programma a Roma fino al 23 maggio. Un’indagine che, mutuando la metodologia dei più importanti lavori della letteratura scientifica sul tema (Felten, 2021 e Pizzinelli, 2023), evidenzia come l’avvento dell’intelligenza artificiale rappresenti a tutti gli effetti una rivoluzione per il settore.
Un nuovo modo di concepire il lavoro pubblico
“L’intelligenza artificiale sta tracciando i confini di un nuovo modo di concepire il lavoro pubblico – afferma Gianni Dominici, amministratore delegato di Fpa – L’impatto nella PA sarà forte sia in termini qualitativi che numerici ed è destinato via via ad intensificarsi con i progressi delle soluzioni AI, suggerendo la necessità di una riconsiderazione dei ruoli e di una riqualificazione per mitigarne gli effetti. La rivoluzione dell’AI rappresenta la ‘terza ondata’ di trasformazione per il settore pubblico degli ultimi 15 anni, dopo la spending review e la pandemia”.
“Di fronte a un simile impatto, la pubblica amministrazione è chiamata ad una riforma strutturale – aggiunge Carlo Mochi Sismondi, presidente di Fpa – Serve una revisione dei processi di formazione, orientata allo sviluppo di competenze come creatività, adattabilità, pensiero critico e laterale e soft skill, che possono qualificare il lavoro liberato da mansioni ripetitive e routinarie. A livello organizzativo, bisogna abbandonare la logica gerarchica e burocratica per introdurre la flessibilità necessaria a gestire il cambiamento”.
Il ministro Zangrillo: “Vivere il cambiamento senza paura”
“Dobbiamo vivere quest’epoca di cambiamento non con lo spettro e la paura di perdere posti di lavoro ma con l’obiettivo di rendere l’innovazione tecnologica compatibile con i nostri piani di sviluppo – sottolinea Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica amministrazione – La digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, determineranno profonde modifiche nel nostro modo di lavorare, ci sono lavori che muoiono ma nuovi che nascono. Dobbiamo essere pronti a una rapidità diversa rispetto a quella a cui siamo abituati. Non mi preoccupo della perdita di posti di lavoro. Il rapporto tra dipendenti pubblici e residenti in Italia è un rapporto che ci vede in posizioni di retroguardia rispetto agli paesi Ue. Non penso ci sia un problema di quantità”.
I pro e i contro dell’adozione dell’AI
Tra i lavoratori pubblici altamente esposti, gran parte (l’80%) potrebbe integrare l’intelligenza artificiale nel suo lavoro, ottenendo notevoli miglioramenti: circa 1,5 milioni di lavoratori con ruoli di leadership e gestione (come dirigenti scolastici, responsabili strategici e leader di progetti innovativi, esperti tecnici e professionisti, prefetti, magistrati e direttori generali), infatti, possono operare in modo complementare con le nuove tecnologie, se adeguatamente formati e con un’organizzazione abilitante. Ma c’è un 12% a rischio di sostituzione: sono vulnerabili ben 218mila dipendenti pubblici appartenenti alle professioni meno specializzate, caratterizzate da compiti ripetitivi e prevedibili che potrebbero essere facilmente svolti dall’intelligenza artificiale.
Un vero e proprio shock tecnologico
Secondo l’indagine Fpa, l’intelligenza artificiale, al pari della crisi del 2007 e della pandemia del 2020, rappresenta oggi uno shock esterno a cui la PA è chiamata a rispondere. Per stimarne l’impatto è stato adattato alle categorie professionali dei dipendenti pubblici italiani il metodo Aioe (Artificial Intelligenze Occupational Exposure) di Edward Felten sull’esposizione occupazionale all’AI. Ne emerge, come detto, che oltre la metà dei circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici è altamente esposto alla tecnologia: è dunque necessario che le soluzioni degli algoritmi vengano utilizzati con consapevolezza e competenza, e nel quadro di contesti organizzativi abilitanti.
L’approfondimento nei comparti svela che gli ambiti in prima linea sono le funzioni centrali e locali della PA, esposte nel 96,2% e del 93,5% dei casi, seguite dall’istruzione e ricerca (72,6%). La maggiore sinergia tra lavoro e intelligenza artificiale emerge soprattutto nell’istruzione e ricerca, dove la percentuale di personale ad alta complementarità con l’AI è il 91,9%. Il rischio sostituzione è particolarmente rilevante nelle strutture centrali della PA, dove tocca il 47,4% (92.859 unità), ma anche nelle funzioni locali (23,8%, 109.801 unità).
“L’adozione dell’AI è un processo inarrestabile e una sfida tecnologica che riguarda tutti, imprese, cittadini e anche la PA, dove il ricorso ad algoritmi intelligenti può rivelarsi una potente leva di innovazione, in grado di ripensare l’organizzazione del lavoro, come la gestione e l’erogazione dei servizi”, chiosa Andrea Rangone, presidente di Digital360. “La capacità di governo dei processi di innovazione sarà fondamentale nella gestione di questo paradigma che, se sostenuto da competenze adeguate, può essere un elemento di discontinuità per tutte le amministrazioni”.