LA PROPOSTA

Internet: e se ricominciassimo dalla scuola?

Per superare la scarsa penetrazione della banda larga in Italia è necessario un ruolo attivo della formazione di base

Pubblicato il 23 Gen 2012

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Qual è la posizione dell’Italia nell’ambito dei paesi Ocse per quanto riguarda la larga banda? I dati più recenti (riferiti prevalentemente al 2010) indicano che l’Italia ha costi di accesso per velocità comprese tra 15 e 30 Mbps (quelle annunciate in download dalla pubblicità degli operatori), in linea con paesi molto avanzati, come Giappone, Corea, Regno Unito, Francia e Germania. Includendo il costo della linea solo il Giappone presenta prezzi inferiori. L’Ocse presenta i dati tenendo conto della parità di potere d’acquisto così da tener conto dei diversi costi della vita. La scelta è legittima, anche se la parità dei poteri d’acquisto sottolinea la diversità della struttura dei consumi e dei redditi locali, diversità che proprio l’evoluzione dei servizi e dei prodotti globali, come le Tlc, rendono sempre più marginali. Anche sotto il profilo della copertura della popolazione la situazione risulta allineata con i paesi più avanzati, con oltre il 90% rispetto alla media Ocse dell’80%.

Diverso è il discorso per quanto riguarda la penetrazione della larga banda, ossia la percentuale di popolazione che sottoscrive contratti broadband: con 21 sottoscrittori ogni 100 abitanti siamo molto al di sotto degli Usa e del Giappone (27 e 26) e ancor più dei principali partner europei, tutti sopra 30.
L’Ocse cerca di spiegare le differenze con la densità della popolazione (e la sua concentrazione in aree metropolitane), ma non raggiunge risultati significativi: la penetrazione non sembra spiegata in modo significativo da queste variabili demografiche, che invece contano proprio sui costi di accesso, fatto che invece non viene evidenziato. Ci stiamo avvicinando al problema vero: nell’utilizzo di Internet l’Italia non solo è molto al di sotto della media europea (50% contro 67%), ma manifesta una crescita modesta nell’ultimo decennio, una crescita pari alla metà di quella media europea (127% contro 258%).

Questo ha effetti drammatici sulle opportunità occupazionali che vengono a mancare, per effetto del “sottosviluppo” della domanda di servizi online: l’Italia è uno dei paesi dove i posti di lavoro con contenuto “intensivo di Internet” sono in percentuale più bassa del totale, non solo, ma dove negli ultimi anni tale percentuale si è ridotta, mentre in quasi tutti gli altri paesi Oecd la percentuale è crescita (Oecd, Information Technology Outlook 2010 e in stampa, 2011). Quali sono i motivi di questo divario? Diverse sono le cause, e probabilmente correlate in modo opposto alla tendenza ad utilizzare più che negli altri paesi il telefono cellulare:
1. il più basso livello di scolarizzazione della popolazione italiana
2. la piccola dimensione delle imprese
3. il basso tasso di attività, in particolare delle donne
4. l’età media più elevata della popolazione
5. il minor numero di figli per famiglia
6. la scarsa conoscenza dell’inglese

In un prossimo approfondimento, che si dovrà avvalere di rilevazioni puntuali sui comportamenti degli utenti, vedremo se queste possibili spiegazioni sono in grado di fornire aiuto al livello di arretratezza in cui sta ripiombando la popolazione italiana rispetto alle dinamiche mondiali ed europee. Ma intanto si può avanzare un’ipotesi interpretativa di carattere generale. La popolazione italiana è meno interessata e meno capace di utilizzare gli strumenti e i servizi offerti dal web: mancano capacità linguistiche, conoscenze tecnologiche di base, curiosità verso strumenti di accesso alle informazioni che non si basano sulla conoscenza personale o familistica.
Un ruolo attivo della scuola e un ambiente di lavoro più moderno e aperto sembrano necessari per superare queste arretratezze: forse bisognerà riprendere temi legati alla modernizzazione del contesto in cui si formano i giovani e delle condizioni di lavoro in cui opera la popolazione attiva.

*direttore dell’Agenzia per l’Innovazione

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