Anagrafe unica, identità digitale e fatturazione elettronica. Sono i tre “cavalli di Troia” che mister Agenda digitale, Francesco Caio, ha identificato per cambiare l’anima della pubblica amministrazione italiana.
“Si tratta di progetti – ha spiegato più volte lo stesso Caio – che rappresentano la base interoperabile a cui agganciare tutti gli altri servizi innovativi. L’infrastruttura abilitante anche per una riorganizzazione interna dell’amministrazione e una più efficiente allocazione delle risorse destinate l’IT”.
Ma il cammino intrapreso da mister Agenda digitale rischia di diventare una corsa ad ostacoli. Due i freni principali. Il primo di natura strettamente organizzativa o, per meglio dire, di governance: l’Agenzia per l’Italia digitale aspetta lo statuto che la renda finalmente operativa e la metta nelle condizioni di essere il braccio operativo del governo. Da Palazzo Chigi però rassicurano che “il provvedimento sarà varato al massimo nel gennaio del 2014 non appena la Corte dei Conti darà il suo ok”. Altro nodo da sciogliere riguarda le risorse. Caio e il dg di Agid, Agostino Ragosa, puntano ai fondi europei della programmazione 2014-2020. Si tratta di circa 30 miliardi che la Ue destinerà all’Italia. L’Agenzia, insieme al Mise e al ministero per la Coesione territoriale, sta studiando una pianificazione anti-spreco che faccia leva anche sul pre-commercial procurement e su partnership pubblico-privato. Inoltre si sta facendo “lobbying” sul governo perché anticipi dieci miliardi per avviare il lavoro. Ma la strategia non convince i Comuni, gli enti maggiormente coinvolti in due delle tre iniziative: anagrafe e identità.
“L’anagrafe è lo scheletro logico della PA digitale – spiegano da Anci al Corriere delle Comunicazioni – nonché un progetto sfidante per i rapporti tra centro e periferia. Ma non nascondiamoci dietro un dito: oggi non ci sono a disposizione le risorse necessarie per avviare progetti di questo tipo. Sulle nostre finanze pesa il patto di stabilità e, più di recente, il mancato incasso della quota Imu che, invece, ci avrebbe ridato fiato”.
Ma non sono solo la governance e le risorse sono un freno. Come spiega Umberto Bertelè, docente del Politecnico di Milano, il rischio è che l’Agenda resti vittima di forme di “neo-luddismo”. “Gli ostacoli sono rilevanti – avverte l’esperto -. La maggior parte di essi nasce dall’inerzia, figlia della resistenza al cambiamento di chi teme di perdere il potere che oggi deriva dall’enorme discrezionalità legata alla burocratizzazione dei processi”. Un’Agenda Digitale applicata seriamente potrebbe avere dunque, almeno nella fase iniziale conseguenze negative, soprattutto sul versante occupazione. “Perché metterebbe in luce l’inconsistenza di molte posizioni di lavoro con problemi non facili di ricollocazione delle persone – spiega Bertelè -. Inoltre, accrescendo sensibilmente i livelli di attività senza aumentare il numero di dipendenti, potrebbe accentuare il fenomeno di sottoccupazione”.
Come arginare il fenomeno? Investendo sulle competenze digitali dei dipendenti pubblici ma anche su quelle dei cittadini. Perché cittadini più digitalizzati pretendono servizi più innovativi.
“Serve un programma di alfabetizzazione organico, ma non uno strumento unico – puntualizza Nello Iacono degli Stati generali dell’Innovazione -. Occorrono mille strumenti e percorsi diversi, organicamente correlati. Occorre una strategia di sviluppo e miglioramento continuo, basata sulla convinzione che si tratta di investire nel sistema educativo del Paese perché questo sistema crea valore per la società”. L’idea è quella di elaborare un prorgamma nazionale che parta dal sistema dell’istruzione per arrivare alla pubblica amministrazione, passando per le imprese, soprattutto quelle medio-piccole che soffrono più delle altre il gap culturale.
L’appello è chiaro. E trova anche una forte sponda bipartisan dalla politica. Pd, Pdl e Scelta Civica in Parlamento sono a lavoro per elaborare strategie a sostegno di un piano di alfabetizzazione nazionale di corredo all’Agenda digitale.