In questa campagna elettorale, esclusi gli addetti del settore, si parla ben poco di innovazione e di proseguimento delle attività di digitalizzazione del paese anche se si trovano contenuti in tal senso all’interno dei programmi di tutti gli schieramenti. Nel 2012, se pur con fatica, è stato iniziato il cammino italiano della cosiddetta agenda digitale a cui come associazione assieme ad altre realtà come Stati Generali dell’Innovazione, abbiamo contribuito – ove possibile – al miglioramento, pur non essendone comunque totalmente soddisfatti.
Come associazione IWA ITALY – che raggruppa chiunque operi nel settore delle professionalità Web, con qualsiasi inquadramento lavorativo – abbiamo partecipato attivamente all’evoluzione digitale del paese, non solo nell’ultimo anno. In tredici anni di attività abbiamo contribuito a diffondere la cultura digitale in aziende e pubbliche amministrazioni, con una serie di eventi ed iniziative su tutto il territorio nazionale collaborando attivamente sia con governi che con entità normative come W3C, ISO, CEN. Abbiamo più volte difeso a spada tratta i diritti delle categorie deboli e svantaggiate in tema di accessibilità, spronando governo e parlamento a garantire il diritto costituzionale di non discriminazione. Sediamo, assieme a colleghi nazionali ed internazionali, ai tavoli in cui si crea l’evoluzione della rete quella vera, quella sociale, quella che non vuole mettere bavagli o avvantaggiare le compagnie telefoniche.
Il 2013 deve essere l’anno della svolta, l’anno del fare. Innanzitutto vanno applicate le normative creando una cultura del digitale, soprattutto all’interno delle P.A. Non è possibile che nel 2013 nonostante norme quali l’uso della PEC e della firma digitale, si costringa il cittadino ad analogizzare il digitale – soprattutto nei pagamenti verso le P.A. (penso al caso del “contrassegno informatico”, ovvero la marca da bollo adesiva da apporre su documenti). Non è possibile che si continui a creare muri di gomma sull’applicazione delle norme, applicando un ameno concetto per cui la legge è un obbligo del cittadino ma lo è di meno verso le PA “se ciò crea un onere o richiede riorganizzazione interna”. Va creata la cultura per cui la riorganizzazione dei servizi all’interno della PA non è un onere ma un vantaggio soprattutto per la PA: un servizio erogato al cittadino tramite tecnologie digitali – se sviluppato correttamente è un vantaggio per l’utente ma è un doppio vantaggio per la PA: minore lavoro per i dipendenti e minori costi di gestione, oltre ad una maggiore trasparenza dei processi gestionali.
Parliamo di digitalizzazione quando abbiamo la maggior parte delle amministrazioni che non gestisce ancora il fascicolo informatico e che non garantisce l’interoperabilità tra archivi. Basta provare ad iscriversi al Mercato Elettronico della P.A. (Me.P.A.) dove all’azienda si richiedono dati quali matricola INPS, INAIL, iscrizione CCIAA, tutti dati che dovrebbero essere già interoperabili tra P.A.). Ma siamo un paese lento all’innovazione, sia nel pubblico che nel settore privato: quotidianamente parlando con colleghi si comprende la diffidenza verso l’innovazione, la paura del cloud, la non curanza dei criteri minimi di sicurezza per i dati aziendali.
Serve quindi cultura, sia dentro che fuori la P.A. E su questo il Ministro Passera si è impegnato al fine di garantire l’alfabetizzazione di massa tramite la RAI – non sarà sufficiente ma è comunque un inizio. Serve cultura in ambito aziendale, ed in questo deve esserci impegno – e collaborazione – da parte delle associazioni di categoria, spesso troppo assenti in tematiche come l’innovazione dei processi aziendali. Bisogna creare il bisogno dell’innovazione, far capire i benefici al fine di aumentare la richiesta di servizi digitali. Serve valorizzare le professionalità, nel settore ICT (e non solo) applicando quegli schemi europei (meta-framework E-cf) che garantiscano l’identificazione delle capacità e competenze dei singoli individui a livello europeo.
Un paese non può fermarsi alla sola cultura. Va rilanciata l’attività economica anche nel settore digitale, garantendo altresì diritti e doveri a chi opera nel settore. Ben vengano gli incentivi alle nascenti società (start-up) ma non dimentichiamoci di aiutare e non discriminare chi non ha voltato le spalle al paese per minore imposizione fiscale o minore burocrazia ed ha mantenuto l’attività negli anni. Pensiamo quindi anche alle “stay up”, forza del paese che non deve essere abbandonata a se stessa: non finanziamenti a pioggia ma pari competitività con le nascenti aziende “innovative”. Pensiamo inoltre alla valorizzazione dei patrimoni del nostro paese: turismo e cultura, poco valorizzati in rete e in modo disorganizzato. Incentiviamo il riuso dei dati in possesso delle PA in questo settore, apriamoli al mercato, facciamo realizzare prodotti e servizi a chi ha idee innovative per far crescere il mercato dei prodotti e servizi digitali.
Per garantire competizione inoltre è da ripensare all’aspra tassazione di coloro che operano nel regime di gestione separata INPS. Appoggiamo pertanto l’iniziativa “no 33%” di Actainrete, chiedendo un impegno in tal senso ai partiti che governeranno il paese.
Questi sono alcuni punti su cui come associazione chiediamo di tenere in considerazione nelle future attività di governo del paese in quanto fatte le leggi (e ne abbiamo già molte in materia) vanno applicate e – ove necessario – vanno migliorate. Evitiamo proposte demagogiche come la richiesta di interventi normativi per obbligare l’apertura del wi-fi in ogni esercizio pubblico visto che nessuna norma nazionale lo vieta, nessuno può obbligare altri ad aprire i propri servizi considerando altresì che i contratti sottoscritti dalle aziende con i fornitori di connettività vietano espressamente l’accesso ai servizi a terzi…