FORMAZIONE

L’Istat battezza i corsi sull’open data journalism

Obiettivo: insegnare ai giornalisti come “lavorare” i dati pubblicati dalle PA. Il presidente Giovannini: “Uno strumento per un uso più consapevole delle informazioni”

Pubblicato il 20 Gen 2012

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L’Istat “sponsor” del data journalism. L’istituto avvierà corsi di formazione per permettere ai giornalisti di lavorare con gli open data – informazioni liberamente accessibili a tutti senza restrizioni di copyright e in un formato rielaborabile – che la pubblica amministrazione dovrà fornire ai cittadini per favorire una maggiore trasparenza nel rapporto con il cittadino.

“Le resistenze alla diffusione degli open data sono prevedibili ma – sottolinea il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini – il decreto Salva Italia elimina però la barriera più diffusa, quella della privacy. Nel provvedimento è stata in parte rivista la legge sulla privacy, vietando imprese anche pubbliche di invocarla per rifiutarsi di mettere a disposizione sui siti i dati sulle proprie organizzazioni, sul loro funzionamento, sulle loro spese e così via.”.
“Si tratta – puntualizza Giovannini – di un punto importante perché ci allinea anche a pratiche internazionali e il codice dell’amministrazione digitale spinge molto in questa direzione”.

L’Istat non sottovaluta la difficoltà che una mano inesperta può incontrare nell’elaborazione degli open data. “Ci vuole qualcuno che sappia usarli – puntualizza – per questo i corsi di data journalism, che contiamo di fare in collaborazione con chi già si occupa di questi aspetti, sono il mezzo migliore per stimolare la discussione su questi dati tra le comunità, sia a livello locale che nazionale”.

L’utilizzo degli open data non può prescindere da precise metodologie di pubblicazione. Le info rese disponibili dalle PA, sono spesso prive di istruzioni per la rielaborazione. Giovannini su questo è chiaro. “Servono standard per la diffusione dei dati – avverte – proprio perché la loro pubblicazione non ci fa fare un passo avanti se non corredati dei metadati che consentono a chi li legge di evitare errori”. Visto però che i dati di cui stiamo parlando non sono statistici, ma amministrativi, l’Istat sta “parlando con chi di dovere anche per provare a raggiungere standard minimi per i dati non statistici proprio perché altrimenti si crea confusione nell’informazione”.

Giovanni tiene infine a precisare che gli open data non vanno confusi microdati, quelli che vengono forniti dall’Istat alla comunità scientifica. Servizio che peraltro verrà fornito con una maggiore capillarità sul territorio e non più centralizzato. “E’ vero che i miei colleghi professori universitari si sono spesso lamentati dello scarso accesso ai microdati, ma è anche vero che non è che abbiamo proprio la fila – sottolinea – La buona notizia è che, appena comunicato alle società scientifiche che non bisogna più venire a Roma per ottenere i dati perché questi si possono avere in ogni ufficio regionale, abbiamo avuto un’impennata di queste richieste”.

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