“L’Italia punti a una strategia condivisa per l’e-health”

Gregorio Cosentino (Cdti) e Massimo Casciello (ministero Salute): “Occore maggiore collaborazione tra i soggetti coinvolti per diffondere best practice. Il riuso strumento principe”

Pubblicato il 16 Gen 2015

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Il sistema della Sanità è molto complesso, si devono conciliare le istanze, non sempre convergenti, dei vari attori interessati: gli amministratori e i politici, i fornitori di prestazioni (Aziende, strutture sanitarie e laboratori privati), i produttori d’apparati e l’industria farmaceutica, il cittadino, i medici e gli operatori sanitari. L’andamento demografico evidenzia inoltre un costante aumento della vita media, con incremento delle fasce d’età più elevate e il conseguente incremento delle patologie croniche e disabilitanti e della domanda di servizi diagnostici e terapeutici.

Se a ciò aggiungiamo la disponibilità di nuovi trattamenti e indagini più efficienti, ma con un costo maggiore, si pone il problema di come gestire un sistema così complesso e contemporaneamente ridurne i costi (evitando sprechi e ridondanze) in uno scenario che vede la frammentazione e disomogeneità crescente tra le varie Regioni. Oggi la tecnologia sempre più facilita l’efficientamento dei processi sanitari, con alcune keywords come la telemedicina, m_health, il fascicolo sanitario elettronico (Fse) e i certificati medici telematici che richiedono l’armonizzazione delle soluzioni e-Health nonché la dematerializzazione dei documenti sanitari che necessariamente devono essere in forma digitale. I dati dell’Osservatorio Ict in Sanità del Politecnico di Milano parlano chiaro, se il sistema sanitario italiano utilizzasse pienamente il potenziale delle tecnologie digitali si potrebbero avere significativi risparmi. Il Digitale al tempo stesso migliorerebbe la qualità aumentando trasparenza e appropriatezza – costi indiretti -, riducendo gli errori e dando servizi migliori ai cittadini.

Le tecnologie ci sono tutte e vengono continuamente migliorate dagli Enti di ricerca, dalle Università, dalle aziende che fanno dell’innovazione il loro modello di business, ma gli addetti ai lavori sanno bene che le sole tecnologie possono poco se non s’incide anche su altri fattori critici – come lo sviluppo di una cultura del fare e trasformare, la formazione del personale e del cittadino, l’approccio politico e manageriale, lo sviluppo di standard e soluzioni innovative, i finanziamenti per l’innovazione, ecc – che possono permettere l’adozione e la diffusione delle stesse tecnologie. Adozione e diffusione che sono un obiettivo primario anche nella Agenda Digitale della UE, che evidenzia come “dobbiamo investire nell’uso intelligente della tecnologia e nello sfruttamento delle informazioni per trovare soluzioni che sostengano una popolazione che invecchia, consentano ai cittadini di avere un ruolo più incisivo e migliorino l’accesso alla rete delle persone con disabilità”.

La riorganizzazione della rete assistenziale del Servizio Sanitario Pubblico è quindi oggi una priorità non soltanto per le Regioni che sono coinvolte in un piano di rientro finanziario, ma più in generale per tutte le Amministrazioni che devono conciliare la crescente domanda di salute con i vincoli di bilancio esistenti. In questa situazione l’innovazione digitale è fattore abilitante e in taluni casi determinante per la realizzazione di modelli sia assistenziali che organizzativi rispondenti alle nuove necessità. La digitalizzazione deve dunque essere vista non solo come un cambiamento progressivo del modo di fare assistenza ma una vera e propria opportunità per il Sistema Paese.

Le esperienze del passato e la situazione economica attuale obbligano ad una rivisitazione del concetto di digitalizzazione al fine di evitare inutili applicazioni, dispersione di risorse o finanziamento di progetti non replicabili. Occorre una strategia condivisa in cui alcuni soggetti sperimentino ed, a risultati positivi ottenuti, aiutino altri soggetti cointeressati alla diffusione della piattaforma. Il tutto deve essere – per avere la certezza della riproducibilità, compatibilità ed efficacia – prima sperimentato e poi reso disponibile agli operatori che condividono le medesime esigenze.

La sperimentazione dovrà portare ad una proposta concreta e completa del capitolato tecnico, degli indicatori di risultato, degli esperti che hanno redatto le linee guida. Si aiuterebbero gli Enti Sanitari a coordinarsi per la migliore progettazione, realizzazione e gestione della soluzione Ict e per la corretta individuazione dei servizi connessi; si eviterebbe cosi di sperperare denaro pubblico, e creare frustrazione tra i Cittadini e gli stessi Amministratori; non sono poche, infatti, le aree del territorio in cui si cerca di sviluppare progetti all’insegna della duplicazione degli investimenti da parte dei diversi Enti Pubblici.

E’ un approccio secondo la logica del “riuso”, con la possibilità per la PA di poter condividere soluzioni “best practices“, nello sviluppo dei progetti si conseguirebbero sicuramente significativi risparmi, condividendo almeno i framework di base. D’altronde già il “ vecchio” Codice dell’Amministrazione Digitale (Cad) prevedeva all’Articolo 69 il riuso dei programmi informatici: “1. Le pubbliche amministrazioni che siano titolari di programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno obbligo di darli in formato sorgente, completi della documentazione disponibile, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni che li richiedono e che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni. 2. Al fine di favorire il riuso dei programmi informatici di proprietà delle pubbliche amministrazioni, …., nei capitolati o nelle specifiche di progetto è previsto ove possibile, che i programmi appositamente sviluppati per conto e a spese dell’amministrazione siano facilmente portabili su altre piattaforme e conformi alla definizione e regolamentazione effettuata da DigitPA, …..”. In tale contesto, è essenziale il ruolo del Ministero della Salute che ha sviluppato, in collaborazione con le Regioni, le linee guida che auspicano il riuso delle “migliori pratiche” (Fse, Cup, Telemedicina, ecc.) e la loro interoperabilità.

Non trascurando la necessità di puntare sulla formazione del personale – per superare la scarsa attitudine tecnologica e resistenza al cambiamento di alcune categorie di operatori sanitari – e sull’informazione per i cittadini; sensibilizzando gli amministratori locali a “fare politica sanitaria” ponendo il giusto focus sul peso dei malati cronici, di come essi possano essere ben assistiti, pur rimanendo in casa invece che affollare gli ospedali. È fondamentale quindi una stretta collaborazione con il sistema formativo – il programma nazionale di Ecm formazione continua in medicina comprende l’acquisizione di nuove conoscenze, abilità e attitudini utili a una pratica competente ed esperta, e riguarda tutto il personale sanitario, medico e non medico, dipendente o libero professionista, operante nella sanità, sia privata che pubblica – per preparare gli operatori alle nuove procedure ed impedire la disumanizzazione delle prestazioni anche attraverso strumenti motivazionali.

Infine, ma non meno importante, una particolare attenzione alla raccolta dati di cui abbiamo già trattato in un nostro articolo, una analitica conoscenza dei dati sanitari può tradursi in uno strumento di supporto all’amministrazione e di trasparenza verso i cittadini. E pertanto, in considerazione della complessità del fenomeno e del pericolo concreto di eterogeneità delle iniziative, sembrerebbe utile costituire un forte coordinamento, in cui tutti gli attori pubblici interessati al tema salute partecipano attivamente, al fine di generare standardizzazione, incentivare la riusabilità, verificare il costo/beneficio delle sperimentazioni ed infine di rendere tutto ciò disponibile, quando l’esito è positivo, all’intero Ssn.

Questo centro di coordinamento dovrebbe avere un mandato sufficientemente forte per dialogare con i centri ordinanti e le aziende private per incentivarne la collaborazione anche attraverso l’istituto del cofinanziamento. Tutto ciò dovrebbe essere l’elemento qualificante per il patto della salute digitale. In questo modo sarà possibile preservare la sostenibilità di un sistema che assiste ad una progressiva espansione della domanda di benessere e non soltanto di salute, e ciò spesso non coerente con le effettive necessità, da parte di una popolazione in progressivo invecchiamento.

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