La formazione dei dipendenti pubblici? Ancora poco ‘tech’

Il 12° rapporto dell’Osservatorio sui bisogni formativi della Sspa rileva nel 2008 un lieve aumento dell’utilizzo dell’Ict nei corsi per i dipendenti pubblici

Pubblicato il 17 Lug 2009

Formazione nella PA, questa sconosciuta. In pochi, se non gli
addetti ai lavori, ne parlano e nemmeno un piano “titanico”
come E-gov 2012 ne fa cenno. Eppure è proprio la formazione che
dovrebbe innescare quella rivoluzione culturale alla base di ogni
progetto di innovazione digitale che si rispetti. Così come è
dalla preparazione dei dipendenti che dipende buona parte
dell’erogazione di un servizio pubblico efficiente.
A fare luce sulla formazione dei dipendenti pubblici, il 12°
Rapporto elaborato dall’Osservatorio sui bisogni formativi nella
PA della Scuola superiore di Pubblica amministrazione, relativo al
2008. Il quadro che emerge “racconta” di amministrazioni
centrali che hanno progressivamente abbandonato l’aula a favore
di modalità di formazione “più tecnologiche”: nei ministeri,
ad esempio, l’aula rappresenta ancora il 50,8% (63,4% nel 2007)
dei casi e negli enti pubblici il 71% (74% nel 2007).
Quali tipologie di formazione iniziano a diffondersi? Gli esperti
dell’Osservatorio rilevano una propensione all’utilizzo di
learning on the job, videoconferenza e stage: insieme costituiscono
il 24% delle partecipazioni. “Un motivo della diffusione risiede
nei contenuti tecnico-specialistici della formazione impartita nel
2008 – si legge nello studio – che si prestano all’utilizzo di
software”.
Nonostante la crescita dei nuovi metodi, però, non si può certo
cantare vittoria. Ancora basse le percentuali degli uffici che
fanno ricorso al laboratorio informatico (utilizzato nei ministeri
nel 5,4% dei casi e dagli enti pubblici nel 3,2%). La
videoconferenza,  utilizzata esclusivamente nel comparto
ministeriale, rappresenta il 4,5% delle partecipazioni.
Un discorso a parte va fatto per l’e-learning, idealmente fiore
all’occhiello della formazione innovativa ma, praticamente, una
“cenerentola”. Nel 2008 il tasso di partecipazione alla
formazione in modalità e-learning è rimasto stabile rispetto al
2007 attestandosi al 12%, pari a 24.664 partecipazioni in
formazione: il 97% di queste sono state effettuate in soli tre
enti: ministero dell’Economia e delle Finanze, Istruzione e Aci.
L’e-learning rappresenta dunque ancora un metodo relativo a un
numero limitato di corsi. Il motivo? La mancanza di un
progetto-formazione sistematico che veda questa modalità come
strumento da integrare ad altri metodi (aula, videoconferenza o
learning on the job) piuttosto che fattore esclusivo di risparmio
economico.
“L’e-learning è una piattaforma  complessa, dove oltre alla
mera lezione sono inserite anche altri elementi – spiega
Massimo De Cristofaro, responsabile del settore Innovazione
della Scuola superiore di Pubblica amministrazione e responsabile
dell’Osservatorio
-: i lavori degli allievi, le
applicazioni chat e, ovviamente, learning object. Elementi
fondamentali per la gestione di un corso innovativo”. Ma che
spesso passano in secondo piano rispetto al guscio informatico che
li contiene. Come superare l’empasse? De Cristofaro auspica
un’utilizzazione delle soluzioni di e-learning in modalità
“blended”, basata sull’alternanza di momenti di formazione a
distanza e momenti in presenza.
Ma gli ostacoli non si fermano alle mere modalità d’uso.
“Nella PA è stato falsato lo spirito dell’e-learning – rivela
De Cristofaro -. Manca un meccanismo normativo che permetta il
riuso dei moduli didattici tra enti: se uno acquista un learning
object da una società esterna non può ‘prestarlo’ ad altri,
mentre se impiega un consulente che sviluppa una soluzione ad hoc,
il prestito è possibile, anche se raro”. Mancando una
replicabilità “tout court”, aumenta la spesa destinata ai
sistemi didattici. Aumento che impatta sulle PA piccole con pochi
fondi per sviluppare programmi didattici innovativi. Stando al
report, buona parte di esse ammette di non ricorrere
all’e-learning: fondi insufficienti.

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