La telemedicina funziona meglio di un farmaco per chi soffre di malattie croniche e può abbattere la mortalità del 45%. E’ quanto emerge da uno studio britannico presentato pochi giorni fa a Bruxelles nel corso di un seminario con la vicepresidente della Commissione Ue Neelie Kroes.
Lo studio del dipartimento per la Salute britannico è durato tre anni, e ha analizzato più di 6 mila pazienti, a cui è stato installato in casa un dispositivo per il monitoraggio della salute. Oltre alla riduzione della mortalità rispetto a un gruppo di controllo, l’analisi ha registrato un calo del 14% dei ricoveri in ospedale e una riduzione della spesa sanitaria dell’8%. "Della telemedicina si discute molto, ma ancora siamo ad applicazioni isolate – commenta Laura Raimondo, amministratore delegato della sede italiana dell’University of Pittsburgh Medical Center (Upmc), che organizza con l’istituto palermitano Ismett dal 6 all’8 giugno un simposio internazionale a Bruxelles su questo tema – in Europa ad esempio solo l’8% dei pazienti ha accesso a una cartella clinica elettronica. Gli studi condotti finora sono comunque concordi nell’affermare che oltre a migliorare la qualità delle cure questi sistemi nel lungo periodo permettono una riduzione dei costi".
Nonostante la telemedicina sia ancora diffusa a macchia di leopardo nel panorama europeo, prosegue l’esperta, ci sono i primi segni di una “rivoluzione”: "Le applicazioni per la telemedicina sono già al terzo posto tra le vendite delle industrie sanitarie dopo farmaci e dispositivi – afferma Raimondo – c’è una gamma molto ampia di opzioni, dal monitoraggio degli anziani alla possibilità di uno scambio di informazioni tra centri piccoli e istituti più grandi con più conoscenze: l’Upmc ad esempio ha un progetto in corso con un ospedale pediatrico in Colombia che ha permesso di ridurre la mortalità infantile dal 9,3% al 4%".